Valentina Vacca, classe '84, e Maura Pilia, classe '82, hanno numerose cose in comune. Sono sarde innanzitutto, la prima è cresciuta ad Arbus, la seconda è nata a Villasalto. Hanno studiato al Classico e poi hanno deciso - arrivata la scelta dell'università - di iscriversi alla facoltà di Fisica di Cagliari.

Poi, determinate, hanno sposato la loro grande passione, l'Astrofisica, che per anni le ha portate lontano da casa - tra Bologna, Como, la Germania e l'Olanda - per poi ritornare in Sardegna, a Cagliari, dove oggi lavorano all'interno dell'Osservatorio Astronomico, una struttura di ricerca che fa parte dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) dedicata allo studio dell'Universo e degli elementi che lo compongono. Qui lo sguardo (sempre rivolto verso l'alto...) si concentra soprattutto sulla radio-astronomia, l'osservatorio gestisce infatti il Sardinia Radio Telescope (SRT), grande e nuovissimo radiotelescopio costruito nel Comune di San Basilio.

Valentina occupa la posizione di ricercatrice (fuori dall'Isola è invece membro del team di gestione del "Key Science Progect del Magnetismo" del radio telescopio Lofar). Maura, quello di assegnista Oac. Entrambe hanno un contratto a tempo determinato e per questo si definiscono "precarie", altra cosa in comune.

Quale lavoro svolgete all'interno dell'Osservatorio Astronomico di Cagliari?

V: "Mi occupo di studiare i campi magnetici degli oggetti più grandi che esistono nell'Universo: centinaia di migliaia di galassie (come la nostra, la Via Lattea). L'obiettivo è quello di capire come questi elementi magnetici che noi vediamo nell'Universo e che ci circondano, si siano originati e poi evoluti: è una delle grandi domande a cui l'astronomia cerca di rispondere oggi. Mi occupo anche di coordinare il Re-commissioning scientifico del Sardinia Radio Telescope, di organizzare e svolgere test scientifici al fine di capire se lo strumento sta funzionando come dovrebbe prima di poterlo riaprire all'intera comunità internazionale".

M: "In ambito scientifico mi occupo prevalentemente di pulsar, che sono stelle di neutroni nate dopo la morte di una stella grande molto più del sole. Si tratta di oggetti molto interessanti perché al loro interno si sviluppano condizioni fisiche estreme, quasi come quelle dei buchi neri, che però in questo caso possiamo studiare. A parte questo, l'analisi di oggetti astrofisici inizia da più lontano: mi occupo in particolare di sviluppare gli strumenti necessari per le osservazioni e faccio parte del team delle operazioni di SRT e anche del gruppo di Cagliari responsabile dello sviluppo del futuro telescopio NASA, IXPE, che verrà lanciato nel 2021".

Si parla tanto dei pregiudizi e delle disuguaglianze che le donne subiscono in molti ambienti di lavoro, la vostra carriera è passata attraverso queste difficoltà?

V: "Sono stata molto fortunata perché sia nella mia vita privata (mia madre era una lavoratrice), sia nell'ambito professionale, ho sempre lavorato con uomini e donne qualificati e con competenze riconosciute dal mondo scientifiche. In Italia questo problema si percepisce molto meno che all'estero, specie nel Nord Europa dove è molto sentito e dove deriva - probabilmente - da una questione salariale e culturale. Gli stipendi sono alti per i ricercatori, per questo gli uomini sono molto attratti da queste posizioni e tendono ad essere più competitivi, la presenza maschile si fa più forte. Un'altra ragione è quella culturale, di educazione: le donne stesse tendono a mantenere in piedi degli stereotipi. L'arma migliore per combattere questo fenomeno è l'esempio, l'esempio che noi donne possiamo dare alle bambine di oggi che saranno le donne di domani: mostrare loro che possiamo essere mogli, madri, avere degli interessi e allo stesso tempo lavorare (in qualunque settore), accedendo anche a quelle professioni che - per puro retaggio culturale - sono considerate ancora maschili".

M: "All'interno dell'Osservatorio di Cagliari non ho mai assistito a discriminazioni di questo tipo o non mi è mai pesata la mia qualità di donna. Quando invece sono stata in Olanda, per il post-doc Astron, un comitato ha valutato l'Istituto dove avrei poi lavorato, sottolineando come questo avesse poche donne all'interno e invitandolo a nuove assunzioni. Poco dopo ho avuto quel posto di lavoro e per qualche tempo mi sono chiesta se fossi stata assunta in quanto donna o per le mie capacità e competenze, una sorta di discriminazione al contrario insomma".

Sono tanti i giovani che fuggono dall'Italia denunciando l'impossibilità di fare ricerca. Cosa vorreste dire a chi ha lasciato la propria terra?

V: "In Italia le difficoltà sono numerose, i finanziamenti sono limitati e questo rende molto difficile la ricerca. Io sono stata fortunata perché sono potuta tornare anche grazie ai soldi che sono stati stanziati per il telescopio di San Basilio. Per fare il ricercatore bisogna avere molta determinazione: in Italia è difficile, ma all'Estero non è più semplice. La difficoltà più grande è accedere a una posizione a tempo indeterminato. I contratti a tempo, tra borse di studio, dottorati, etc., ci sono, ma la difficoltà più grande è rimanere nell'ambito della ricerca a tempo indeterminato. Se c'è la passione, bisogna provare a perseguire il proprio obiettivo, consci però di quella che è la realtà".

M: "Sono stata a lungo fuori dall’Italia e credo sia una esperienza importante da fare, di grande arricchimento sia professionale (conoscere altre realtà lavorative), che personale (una grande esperienza umana). Se non fosse stato per gli affetti non so bene cosa avrei deciso e non so bene se sono la persona giusta per dare un consiglio. Sarebbe bello se l’Italia diventasse una realtà da dove non solo si va via, ma anche dove si arriva, questo è anche l’obiettivo dell'Osservatorio cagliaritano: essere un luogo dove i giovani non scappano, ma tornano, non solo per l'amore che li lega alla loro terra, ma perché lavorativamente è un posto di alto livello".

Cagliari è o può diventare il contesto ideale per fare ricerca?

V: "Il capoluogo sardo sta conoscendo un forte sviluppo negli ultimi anni. Nel 2012, quando sono andata via, l'Osservatorio era un piccolo istituto, si trovava a Poggio dei Pini, e dentro lavoravano 40-50 persone tra ricercatori, tecnologici e amministrativi. La comunicazione a livello internazionale era ancora troppo poca. Oggi è allo stesso livello di tutti gli altri osservatori nazionali. Una delle ragioni è la costruzione del telescopio che ha portato nuovi finanziamenti, che a loro volta hanno portato nuovi ricercatori, nuove personalità. Oggi siamo in 70: ci sono molti collaboratori stranieri che rimangono qui per giorni, settimane. È un ambiente vivo, competitivo, nonostante le difficoltà che comporta trovarsi in un'isola".

M: "Cagliari rappresenta un bel contesto di ricerca. Abbiamo molti studiosi e studiose che arrivano dal resto dell'Italia. Nel nostro gruppo di lavoro abbiamo anche due ricercatrici straniere, una arriva dal Sudafrica, l'altra dalla Cina, e stiamo cercando di espandere i nostri orizzonti nonostante le difficoltà della burocrazia italiana. Siamo sempre più attivi per rendere il contesto sempre più internazionale, in modo da ingrandire ciò che facciamo. Non è un ambiente statico o dormiente, ma un luogo di ricerca a livello super competitivo".

Come si concilia la vita privata con il lavoro di studioso?

V: "Il lavoro del ricercatore è un lavoro particolare perché ti permette di viaggiare tanto per convegni, collaborazioni, conferenze, specie nel periodo della formazione. Questo non agevola certamente la vita privata, perché ci si deve allontanare dai propri affetti, ma allo stesso tempo rappresenta un grande arricchimento professionale e umano (ti spinge a superare i tuoi limiti). Per questo è fondamentale avere vicino una persona che capisce il nostro lavoro, il nostro impegno che ci porta lontano da casa. Per me - fino ad ora - è stato più un arricchimento che una rinuncia".

M: "L'essere astrofisica mi ha portato lontana da casa. Non 'va dove ti porta il cuore', come si usa dire, ma 'va dove ti portano le pulsar!'. Uno studioso deve andare là dove si studia quello che è il suo ambito di ricerca e questo per me, che sono legata al mio attuale marito da quando avevo 18 anni, ha significato stare separati a lungo. Non ho messo la carriera prima della mia vita privata, ma ho fatto delle scelte, specie quando ero giovane. Ora sono tornata in Sardegna. Avrei potuto scegliere la Thailandia, invece sono tornata a casa. Sono stata fortunata: Cagliari mi ha permesso di non abbandonare quello che è il mio percorso professionale, immergendomi in una nuova sfida".

Mettiamo il caso che siate destinate a una scoperta che finirà sui libri di storia, quale vorreste che fosse?

V: "Mi piacerebbe scoprire come i campi magnetici si sono formati e come poi si sono evoluti nell'Universo, scoprire quanto è accaduto nelle epoche più lontane: questa per me sarebbe la scoperta più bella da compiere".

M: "È una domanda difficile, a cui non ho mai pensato! Mi piacerebbe fosse una grande scoperta non legata alla fortuna o al caso (a volte succede), ma che fosse qualcosa a cui sono riuscita ad arrivare partendo dall'inizio, da un ragionamento, da una teoria. Una scoperta che nascesse da un mio pensiero astratto che si concretizza".

Da bambine che cosa avreste voluto fare da grandi?

V: "A 5-6 anni avrei voluto fare il muratore o il benzinaio! Poi crescendo il mio interesse si è rivolto alle materie scientifiche. Pensavo di voler fare ingegneria o architettura edile. In seguito ho capito che mi appassionavano molto la Matematica e la Fisica, in particolare l'Astrofisica e l'Astronomia e mi sono orientata verso questo campo".

M: "Sono sempre stata a metà strada tra la Storia e la Fisica, forse perché i miei genitori - entrambi docenti - insegnano Filosofia, mio padre, e Matematica, mia madre, e questo mi ha sempre spinto a credere di voler fare una sola cosa: insegnare, magari all'università. Crescendo, grazie all'astrofisica, sono riuscita a conciliare le mie più grandi passioni".

Simona Arthemalle

(Unioneonline)
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