"Sto bene! Smetti di piangere e tranquillizzati. Mamma, adesso non posso stare al telefono, siamo tutti impegnati, ti chiamo più tardi, va bene? Prometti che non piangerai! Prometti! Ciao mamma ti abbraccio forte forte".

L'INCUBO - Era il pomeriggio del 12 novembre 2003 quando Antonella Serrenti sentì pronunciare queste parole che misero fine a una giornata da incubo. Al telefono, con la linea disturbata da un brusio di urla e sirene, c'era suo figlio, soldato della Brigata Sassari. Era partito qualche tempo prima in Iraq per la missione "Antica Babilonia" e quel giorno la sua base, la base di Nassiriya, era stata teatro del più grave attacco subito dalle truppe italiane dalla fine della Seconda guerra mondiale. Erano morti 9 iracheni e 19 italiani, tra civili e militari, tra questi anche il maresciallo capo dell'Esercito Silvio Olla al quale domenica, anniversario della strage, Sant'Antioco ha reso omaggio.

LA LUNGA ATTESA - Numeri e nomi che in quella lunga giornata nessuno poteva conoscere e Antonella Serrenti, che aveva appreso la notizia dell'attacco mentre si trovava al lavoro nel suo istituto di estetica di Carbonia, era sprofondata nella disperazione più nera. Si sapeva soltanto che c'erano tanti morti e per un giorno intero lei aveva telefonato a mezzo mondo, fino a Nassiriya, per cercare notizie del figlio. Ore e ore con il cuore in gola, fino a quella telefonata, nella tarda serata, che le aveva permesso di riprendere a respirare: "Era da poco uscito dalla base quando era cominciato l'inferno - racconta - quando è tornato ha visto solo morte e devastazione".

LA SCRITTURA - Tutto il dolore, l'ansia, il senso di impotenza vissuto, Antonella li ha tenuti dentro di sé per mesi prima di provare a esorcizzarli affidandosi a un foglio bianco sul quale ha preso forma un racconto. Pagina dopo pagina ha ripercorso quell'incubo che solo una madre che non sa cosa ne è stato del figlio può comprendere. L'evolversi dei fatti, sino alla telefonata finale che ha il sapore di un abbraccio, è intervallato dai versi dell'inno della Brigata Sassari, un turbinio di emozioni e parole, venuto fuori di getto a questa madre che il dolore ha trasformato in scrittrice: "Avevo sempre amato la scrittura ma era una passione che avevo tenuto per me - racconta - poi come per incanto, le parole hanno continuato a scorrere nei quaderni, al pc, come un fiume in piena". Quel racconto, con il quale poco tempo dopo la strage ha partecipato a un concorso letterario, è diventato il libro "Una giornata dall'aria antica" che è stato pubblicato dalla casa editrice Graphe.it, con la quale ne ha poi pubblicato un altro, scritto insieme a Susanna Trossero, e ne ha già in programma un terzo.

GLI INCONTRI - Non è facile però concentrarsi, perché il libro dedicato al giorno della strage di Nassiriya occupa ancora gran parte del suo tempo. È un testo che si compone di racconti per i quali Antonella ha scavato dentro di sé, andando oltre l'incubo che ha vissuto - che rimane uno dei capitoli più coinvolgenti - ma ha anche provato a immaginare le emozioni di altri genitori e nonni, figli che non hanno riabbracciato i padri, bambini e donne che vivono nelle terre teatro della strage, politici che si ritrovano a gestire simili emergenze senza sapere da dove cominciare. La sua fantasia ha reso reali questi personaggi che, da un anno, accompagna nelle scuole, nelle biblioteche dell'Isola, perché nessuno dimentichi quel giorno. "Ogni volta l'emozione ritorna ma voglio che, con il dolore, il mio libro racconti anche la speranza che tragedie simili non possano più accadere - spiega - ad ogni presentazione vedo volti rigati di lacrime, incontro persone che vogliono abbracciarmi". Come le soldatesse che ha incontrato lo scorso anno a Carbonia, per un'incredibile coincidenza, proprio il giorno in cui il libro è stato presentato per la prima volta: "Mi hanno accerchiato, ci siamo commosse, è stata una grande emozione".

Stefania Piredda

© Riproduzione riservata