Nella Gallura di fine anni ’50 fece la sua comparsa un’iniziativa unica di scolarizzazione su quattro ruote: il Paidobus, un pullman attrezzato come una vera e propria aula di scuola per combattere l’analfabetismo in un territorio dall’habitat disperso, dove per molti bambini andare a scuola era un’avventura, nel senso letterale del termine, per le distanze chilometriche o per la mancanza di vie di comunicazione.

Artefice dell’avveniristico progetto pedagogico l’allora Provveditore agli Studi di Sassari Salvatore Cappai, convinto che “se gli alunni non potevano raggiungere la scuola doveva essere la scuola ad andare da loro”, per garantire il diritto di ognuno all’istruzione.

Ecco allora l’idea di usare degli autobus speciali tipo Beta della Lancia con la scritta Scuola Mobile sulla fiancata, attrezzati con 20 posti a sedere, 11 scrittoi, un autista e un maestro, dotati di lavagna girevole, proiettore, giradischi, radio, cucina a gas, tavolinetti portatili per le lezioni all’aperto e persino una biblioteca con romanzi e dizionari.

I tre Paidobus attivati nel 1956 fecero la loro apparizione nelle zone di San Pasquale (Tempio e Santa Teresa Gallura), Surrau (Arzachena) e Battistoni, e trovarono l’accoglienza entusiastica di alunni, genitori e abitanti locali.

L’inchiesta di Radio Sardegna

Ci spiega il professor Manlio Brigaglia, che nel ’58 realizzò un’inchiesta sul tema per Radio Sardegna dal titolo “La scuola sulla spiaggia”: “Avevo seguito una giornata tipo del Paidobus, ricordo un’atmosfera allegra, con bambini di età diverse che somigliava più a una gita che a una lezione di scuola, ma non c’era la sensazione di un gioco, piuttosto i ragazzi sentivano con serietà precoce l’importanza del servizio che gli era offerto. Un’iniziativa che aveva presto superato le aspettative e, limitatamente all’area, divenne un mezzo di integrazione sociale, nata in un clima di generale attivismo su temi socialmente importanti come la scuola e una generazione di insegnanti aperta a nuove sperimentazioni pedagogiche”.

La scuola delle meraviglie

Il punto di forza era l’innovazione del metodo scolastico e la localizzazione in un’area che a fine anni ’50 rimaneva tra le più disagiate dell’intera Sardegna, anche se poi qualche anno dopo sarebbe diventata l’elitaria Costa Smeralda, come ci spiega Giovanni Gelsomino, ex insegnante e animatore dell’Almanacco Gallurese: “Una scuola delle meraviglie, in un’area dove quasi non era finito il medioevo, niente strade carrozzabili, niente telefoni, spesso nemmeno l’elettricità, e chilometri e chilometri tra uno stazzo e l’altro, gente isolata dal resto del mondo che non sapeva cosa accadeva a poca distanza dalla propria casa”.

E naturalmente il problema frequente dell’abbandono e della dispersione scolastica, data la difficoltà per i bambini di raggiungere le poche scuole presenti, a volte stazzi adibiti ad aule, raggiungibili dopo ore di cammino tra campi e boscaglia. Ecco perché, come sottolinea Gelsomino, quei tre pullman attivati in Gallura cambiarono la vita di alunni e genitori: “un’opportunità unica per ragazzi svantaggiati, un mezzo di conoscenza in anticipo sui tempi, caratterizzato da un’atmosfera giocosa e dal dialogo aperto con gli insegnanti. I ragazzi non erano chiusi in un’aula, direi che era più simile a un cinema: dovevano parlare del mare? Ci andavano. Dovevano parlare del bosco? Ci andavano e lo vedevano di persona. Questi ragazzi hanno “visto” allora molto più di tanti loro coetanei”.

Un maestro durante la lezione sul Paidobus nel 1961 (Foto di Federico Patellani, Museo Museo di Fotografia Contemporanea\r Villa Ghirlanda)
Un maestro durante la lezione sul Paidobus nel 1961 (Foto di Federico Patellani, Museo Museo di Fotografia Contemporanea\r Villa Ghirlanda)
Un maestro durante la lezione sul Paidobus nel 1961 (Foto di Federico Patellani, Museo Museo di Fotografia Contemporanea Villa Ghirlanda)

L’ex alunno diventato professore universitario

E lo conferma un testimone d’eccezione, l’ex alunno Paolo Serreri, oggi docente universitario a Roma 3, che sul Paidobus ha frequentato la 4° e la 5° elementare tra il 1956 e il 1958: “Da un giorno all’altro siamo stati proiettati nel futuro, è stata un’accelerazione del tempo, in una zona dove l’analfabetismo e la dispersione scolastica erano altissimi. Io, ad esempio, venivo da una famiglia di contadini semianalfabeti, mio padre ne soffriva tanto da definirsi “cieco” e sognava che io potessi studiare; mia madre, invece, sapeva leggere e scrivere grazie a suo padre, che aveva imparato offrendo ospitalità a mendicanti “istruiti” in cambio di lezioni di lettura e scrittura”.

“Mi ritengo fortunato, ho beneficiato di una congiunzione astrale favorevole, questa struttura era un’opportunità straordinaria. Avevamo per maestro l’unico insegnante che in tutta la direzione didattica della provincia di Sassari fosse iscritto al magistero - e infatti si sarebbe laureato poco dopo, diventando poi avvocato – e i metodi non erano autoritari come quelli della scuola canonica, la cosiddetta “pedagogia del terrore”, aggravata dal fatto che molti alunni parlavano solo il sardo e molti insegnanti venivano dal continente”.

L'invenzione sarda finisce in Tv

Non ci volle molto perché l’originale iniziativa sarda facesse parlare di sé e proprio Paolo Serreri fu invitato a darne testimonianza in una delle più celebri trasmissioni radiofoniche del tempo, “La 24esima ora” presentata da Mario Riva. Un programma generalista dove si raccontavano storie italiane significative, e la Rai scelse di dedicare l’ultima puntata proprio alla scuola con quattro alunni provenienti da varie parti d’Italia segnalati dal ministero della Pubblica Istruzione: "uno ero io" - spiega Serreri - "un’altra congiunzione astrale favorevole”.

“La cosa divertente fu che quando arrivammo Mario Riva ci fece provare le interviste, gli altri tre (di Belluno, Siracusa e delle Tremiti) se la cavarono benissimo, io invece feci quasi scena muta, tanto che mi volle tenere per ultimo, per una domandina finale. Ero come un boscimane a New York, ma gli altri che avevano fatto gli spavaldi, alla registrazione si bloccarono e allora Riva disperato si rivolse a me, che contrariamente alle attese mi sciolsi e spiegai nei minimi dettagli l’esperienza del Paidobus, perché a differenza dei miei colleghi non avevo idea di parlare alla radio. Lo interpretarono come un colpo di genio, ma in realtà era solo spontaneità, come quando Riva mi chiese quanto tempo impiegavo ad andare a scuola e io risposi: “30 minuti all’andata e 45 al ritorno”. Si stupì e io spiegai candidamente, come avrebbe fatto un qualsiasi contadino gallurese, che all’andata la strada era in discesa e al ritorno in salita. Era tipico del mio mondo, dove la distanza non era misurata in km ma in tempo. Fu un successo, ma del tutto naturale”.

La fine del Paidobus

Poi, a dieci anni dall’introduzione, l’esperienza della scuola mobile finì, complice l’esplosione del turismo e la nascita della Costa Smeralda, lo spopolamento delle campagne per andare a vivere e lavorare sulla costa, e non ci furono più alunni a cui dover “portare” la scuola. Ma l’esperienza rimase come un fiore all’occhiello della Sardegna, un unicum di cui parlarono giornali e televisioni italiane e straniere, e, per alcuni come Paolo Serreri, il Paidobus fu la salvezza da un destino segnato dal lavoro nei campi e dall’ignoranza.

Barbara Miccolupi
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