A dare l'allarme alla comunità scientifica internazionale alcuni mesi fa è stato il dottor Peter McParland, nel corso di una conferenza al National Maternity Hospital di Dublino, portando il dato statistico secondo cui in Islanda il cento per cento dei bambini a cui è stata diagnosticata la sindrome di Down viene abortito. Il fenomeno si è stabilizzato soprattutto negli ultimi cinque anni e ha immediatamente fatto discutere.

Sempre secondo il medico islandese questo stato di fatto sarebbe dovuto soprattutto all'introduzione dei cosiddetti "Nipt", test prenatali non invasivi in grado di rintracciare le disabilità nel sangue delle future mamme.

La sparizione della sindrome di Down non è, però, un fatto che riguardi solo la piccola e civilizzatissima Islanda, perché dati recenti dimostrano che anche la Danimarca potrebbe nei prossimi dieci anni arrivare al medesimo dato statistico, così come la Gran Bretagna, dove il 90% delle donne in gravidanza cui viene diagnosticata la sindrome preferisce ricorrere all'aborto terapeutico.

E la battaglia alla trisomia 21 contagia anche Svezia, Norvegia, Olanda, Svizzera e Spagna, dove negli ultimi 25 anni il numero di portatori della sindrome è calato del 50 %. Un fenomeno che fa discutere e rientra appieno nelle grandi questioni relative all'eugenetica, soprattutto perché i Paesi in cui accade sono da anni impegnati in una battaglia - sempre più vincente - sull'inclusione e le pari opportunità per i portatori della trisomia 21.

L'accusa più ricorrente a questa tendenza che è clinica e sociale al tempo stesso è quella di avallare una sorta di strisciante selezione della razza, ma come molte altre questioni relative all'eugenetica - in presenza di leggi che consentano l'interruzione volontaria della gravidanza - in gioco c'è la libera scelta del singolo, in questo caso di madri e padri, davanti a una diagnosi di disabilità dei propri futuri figli.

Nel dibattito si sono inseriti molti media internazionali, e la rete NBC News si è occupata di raccogliere studi internazionali sui portatori della trisomia 21, dai quali emerge che la stragrande maggioranza di loro si dice felice della propria vita e si piace così com'è, insistendo sul fatto che la diagnosi della malattia non deve essere vista come una condanna implacabile.

E in Italia? I dati più recenti rilevano che nel nostro Paese in media un bambino ogni 1200 nati è affetto dalla sindrome di Down, ma l'incidenza statistica varia a seconda dell'età della madre.

(Redazione Online/b.m)
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