L'agenda dell'avvocato cagliaritano Francesco Paolo Micozzi è intasata: non potrebbe essere altrimenti dal momento che insieme al suo collega di studio Giovanni Battista Gallus non ha tra le mani solo le cause di cui tutti i legali si occupano. I due giuristi sono tra i più profondi conoscitori dei rapporti tra web e diritto. "Ma questo pomeriggio io e il mio collega siamo in studio".

L'appartamento è ai piedi di Monte Urpinu: è un curioso contrasto vedere, dalla finestra, gli alberi del parco mentre si parla di digitale. Del "disegno di legge Gambaro", la normativa sulle fake news, per esempio. "Una legge spot, la summa di tutte risposte sbagliate che può dare un legislatore. Una legge che non serve a niente".

Ma occorre intervenire contro la diffusione delle bufale che circolano sul web.

"Perché inventarsi nuove norme? C'è già l'articolo 656 del Codice penale che punisce la pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l'ordine pubblico".

Una norma che non sembra aver risolto il problema.

"E lo risolve l'obbligo di avvisare tramite posta certificata l'apertura di un blog? Una normativa nazionale che vuole regolare una questione globale. Ma, soprattutto, c'è un rischio enorme: lo Stato viene chiamato a verificare la veridicità delle notizie. Provate a pensare se una normativa simile fosse a disposizione di Trump".

Ma un controllo è indispensabile.

"E questa normativa lo affida anche alle piattaforme informatiche che sarebbero obbligate a monitorare costantemente ciò che viene pubblicato al loro interno, compresi i commenti degli utenti. A parte l'impossibilità tecnica, a realtà come Facebook verrebbe dato un ulteriore strumento di controllo. Una prospettiva preoccupante".

Eppure in Germania c'è una legge che cerca di regolare il web.

"Ma si occupa solo di un aspetto: bloccare la propaganda antisemita e nazifascista. In quel Paese sono molto sensibili al tema".

Il quadro è sconfortante: dobbiamo rassegnarci alle fake news?

"Paghiamo il fatto che in Italia abbiamo preso confidenza in ritardo di dieci anni con la Rete. L'abbiamo conosciuta solo tramite Facebook. E stiamo pagando questo ritardo. Così diventa normale che siano virali notizie non vere che sono, però, verosimili".

Che cosa fare?

"Occorre educare i giovani, insegnare loro a scegliere le fonti. Far capire che i giornalisti, professionisti dell'informazione, sono più attendibili di chi scrive sui blog".

Ma, intanto, la rete è una giungla, l'odio spopola.

"Anche in questo caso, non servono leggi ad hoc. In Italia esistono già norme che puniscono il razzismo, come la legge Mancino, o l'apologia di fascismo, come la legge Scelba".

In teoria. In pratica, se certi reati sono commessi su piattaforme internazionali, non vengono perseguiti.

"È vero che Facebook, Google, YouTube applicano la legge statunitense, molto attenta alla libertà di parola. Ma è anche vero che ci sono altri strumenti investigativi per perseguire i responsabili. Gli attivisti neonazisti di Storm Front sono stati condannati senza necessità di fare ricorso a rogatorie internazionali".

Le piattaforme informatiche fanno il bello e cattivo tempo: Facebook censura un seno ma accetta l'apologia di fascismo.

"Nel momento in cui ci iscriviamo, accettiamo le 'regole della casa': magari non ci piacciono ma le abbiamo sottoscritte".

Nel mirino della gogna virtuale finiscono anche cittadini qualunque.

"Anche per questi casi non serve una normativa speciale. I reati di diffamazione, stalking e calunnia sono già sanzionati".

Ma, intanto, come è capitato al barista accusato falsamente di essere un pedofilo, la vita viene rovinata.

"Lui è stato molto bravo a far fare una controcampagna che gli ha consentito di uscire dall'incubo. Bisogna imparare a usare la Rete anche per difendersi".

Non tutti ci riescono. Tiziana Cantone si è suicidata dopo che il suo video è diventato virale.

"Quando parlo di educazione, intendo dire anche questo: occorre essere consapevoli del fatto che un video, un'immagine possono diventare virali".

Magari gli adulti lo capiscono. Ma c'è anche il cyberbullismo dei ragazzini.

"La recente legge sul cyberbullismo rischia di mandare in tilt il garante per la privacy. A lui devono rivolgersi le vittime del cyberbullismo. E il suo ufficio, come ha già anticipato, rischia di andare in tilt per l'eccessiva mole di lavoro".

Il quadro è sconfortante: dobbiamo rassegnarci e sperare che la prossima generazione usi meglio la Rete?

"Qualcosa può essere fatta da subito. Come Europa - non certo come Italia da sola - si deve proseguire il percorso iniziato nel 2016: allora, Facebook, Twitter, YouTube e Microsoft firmarono con la Commissione europea un codice di condotta sull'hate speech. Occorre far diventare ancora più stringente quell'accordo".

Marcello Cocco

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