La piccola Heidi cresciuta col nonno in montagna, la bambina con le guance rosse e il vestito semplice, di animo buono e sempre sorridente. Questa Heidi non esiste più o, meglio, non è quella descritta da Don Alemanno (al secolo Alessandro Mereu), il fumettista di Monastir che venerdì a Napoli presenterà "NaziveganHeidi", la graphic novel pubblicata da Magic Press.

Il volume racconta la storia della bimba, che mantiene i tratti del disegno originale (grazie alla penna di Boban Pesov), ma che viene descritta come una vegana estremista, tanto da meritarsi appunto l'appellativo di nazista.

Com'è nata l'idea della trasformazione?

"Avevo in mente una storia sui nazivegani, non perché io, carnivoro, sia migliore, anzi. Forse i vegani hanno pure ragione, ma il mio stile di vita, che comporta la sofferenza di animali, è per me una consapevolezza. So di mangiare animali uccisi, spesso cresciuti in gabbia, ma pago il prezzo di questa scelta, senza buonismo".

Perché proprio Heidi?

"Perché nell'immaginario collettivo è la rappresentazione del bene, la nipotina che scardina il nonno burbero".

E non è così?

"In realtà il cartone animato è stato travisato: hanno sottolineato alcuni aspetti che non corrispondono al vero".

Per esempio?

"Quando Heidi arriva di fronte al nonno, gli dice 'ciao, io sono Heidi', e lui risponde: 'Ciao piccola, cosa posso fare per te?'. Vi sembra questa una persona indisponente?".

Chi sono allora i cattivi?

"La zia ovviamente, quella che per sbolognarsi la bambina la porta dal nonno, lo insulta, e lui accetta di crescere la nipote".

Una tavola del fumetto
Una tavola del fumetto
Una tavola del fumetto

Cosa succede in NaziveganHeidi?

"La piccola Heidi diventa vegana, non posso dire perché altrimenti scatterebbe un immenso spoiler, conosce Clara, animalista convinta, invalida, Youtuber e attivista, e viene coinvolta nella lotta ai non vegani".

Diventa un'integralista anche lei?

"Sì, minaccia di morte un po' tutti, dice frasi come 'brucerete all'inferno', 'verrete divorati dai vermi'".

In copertina fa il saluto nazista...

"Ho fatto questa scelta per stanare tutti gli ipocriti che si professano antifascisti, ma usano in realtà metodi che invece fascisti lo sono eccome. Ricordiamo la vicenda di Adinolfi, per esempio, non può parlare? Invece deve, tutti devono avere il diritto di parola, altrimenti diventiamo intolleranti travestiti da antifascisti".

Heidi non era portatrice di un messaggio d'amore?

"Ne è l'emblema, ma è proprio quello che io combatto giornalmente, da questi messaggi nascono invece rabbia e violenza".

Era solo una bambina...

"Tutti i bambini sono privi di pregiudizi: quando giocano, all'asilo o al parco, non guardano se il loro amichetto è bianco o nero, se può alzare un braccio o no. Sono gli adulti che inculcano in loro il pensiero della diversità e a volte questa trova sfoghi negativi, come nel caso della mia Heidi, che mostra cosa accadrebbe se ai più piccoli venissero insegnate idee naziste".

Tra gli altri personaggi c'è anche Peter, chi è nella sua storia?

"Figlio di immigrati sardi, ha un rapporto morboso con le caprette".

Perché questa scelta?

"Se non fossi stato sardo, non avrei potuto descriverlo in questo modo, perché - primi tra tutti i miei conterranei - mi avrebbero criticato aspramente. Invece io, isolano, ho una sorta di patente che mi sdogana. Sono sardo e posso, se voglio, parlare anche in un certo modo dei sardi. So cosa vuol dire, so da dove vengo, sono fiero delle mie origini, e proprio per questo non mi preoccupo di chi tocca tasti considerati dolenti".

Quali altri tratti ha Peter?

"È un elemento di congiunzione tra chi dice che l'animale è come l'uomo e chi dice che l'animale non è come l'uomo. Lui invece ha questo rapporto fisico con le capre e avrà un ruolo determinante nella storia".

E il nonno?

"Nel fumetto viene raccontato come un uomo che si è rifugiato in montagna per sfuggire al processo di Norimberga, un ex soldato del terzo Reich insomma. Ma nessuno sa se questo corrisponda a verità: in ogni caso tutti lo pensano".

Anche il suo primo lavoro famoso, Jenus di Nazareth (che racconta il ritorno del figlio di Dio sulla Terra), è un po' dissacrante.

"Per niente, io stimo molto Gesù, tanto che lo celebro ampiamente. Ma non sono credente".

Com'è nata questa passione per i fumetti?

"Proprio passione no, forse un interesse secondario; solo durante le scuole superiori ho scoperto i Manga giapponesi, ma non sono un collezionista e anche il disegno è stato una componente della mia vita, senza tuttavia esserne il centro".

Quando ha cominciato?

"Mentre lavoravo a Milano come informatico: durante le pause scarabocchiavo vignette sul ritorno di Gesù sulla Terra, ho cominciato a pubblicarle su Facebook e, dietro sostegno di parenti e amici, ho creato poi una pagina nel febbraio 2012, dove ho pubblicato il primo vero capitolo di Jenus di Nazareth".

Cosa significa il suo nome?

"Deriva dall'appellativo che aveva il mio bisnonno a Monastir, Don Guido. Ma 'don' nel senso nobiliare spagnolo, e poi da 'Ale', abbreviazione del mio nome, e 'manno', italianizzazione di 'mannu', ossia grande in sardo. Una scelta dettata dal soprannome che mi ero dato durante una cena".

Ora ha migliaia di fan, ma in famiglia, in Sardegna, cosa dicono?

"Dopo aver saputo di NaziveganHeidi mia madre ha proposto: 'Mi aspetto la prossima su Remì'. Ma io odio tutte queste storie di bambini che perdono i genitori, vagano per il mondo alla ricerca di qualcosa, e poi da piccolo mi obbligavano a Carnevale a vestirmi proprio da Remì. Fino a quando non ho ottenuto il costume di Zorro...".

La copertina di NaziveganHeidi
La copertina di NaziveganHeidi
La copertina di NaziveganHeidi
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