La Resistenza è stata uno dei periodi più drammatici e complessi della recente storia italiana. È stata un’epoca in cui alle stragi più efferate si sono contrapposti tanti atti di eroismo, di coraggio e di generosità. È stata un’epoca in cui alle cupe ideologie del Nazismo e del Fascismo hanno fatto da contraltare gli ideali di libertà di tante persone comuni. Attorno alla Resistenza allora sono nate tante storie e anche tante leggende così come non mancano libri e documentazioni dedicati al periodo. Eppure molto rimane ancora da dire e vi sono ancora vicende poco narrate oppure dimenticate del tutto.

Il giornalista Andrea Galli ha scelto di rievocare una di queste vicende cadute nell’oblio: il coinvolgimento di tanti membri dell’Arma dei Carabinieri nella lotta per liberazione del nostro Paese dai nazifascisti. È nato così "Carabinieri per la libertà" (Mondadori, 2016, euro 18,00, pp. 176. Anche Ebook) avvincente saggio-inchiesta in cui Galli si mette sulle tracce di militi, sottufficiali e ufficiali della Benemerita che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 scelsero di non rinnegare il loro giuramento di fedeltà alla patria e rifiutarono di aderire alla Repubblica di Salò.

Migliaia furono deportati nei campi di lavoro in Germania, molti, per la loro scelta, furono imprigionati, torturati e poi passati per le armi. Tanti si diedero alla macchia per combattere a fianco dei partigiani oppure finsero di rimanere operativi nelle caserme mettendo i bastoni fra le ruote ai tedeschi e ai repubblichini e favorendo così gli Alleati e la Resistenza.

Galli si sofferma su alcune delle storie personali di questi uomini in divisa, storie ricostruite con fatica consultando i pochi documenti ufficiali rimasti e le lettere inviate a parenti e amici oppure ascoltando le testimonianze di figli, nipoti o semplici conoscenti di questi combattenti.

Storie spesso commoventi, perché assolutamente comuni, quasi ordinarie. Vicende di ragazzi entrati nell’Arma per guadagnarsi il pane e capaci poi di rispettare la loro scelta di vita fino alle estreme conseguenze, con abnegazione e senso del dovere. Molti di quei Carabinieri, infatti, non rifiutarono il Fascismo o il Nazismo per scelta politica. Li rifiutarono perché contrari ai loro principi di uomini e di militari, perché erano la negazione del loro ideale di difesa della nazione e dei più deboli.

Così, in quei giorni tragici, il maggiore Pasquale Infelisi, comandante del gruppo Carabinieri di Macerata poi fucilato dai tedeschi alle spalle come traditore, chiariva la sua scelta di campo: "Non si può aderire a una Repubblica come quella di Salò, illegale dal punto di vista costituzionale e per di più alleata a uno straniero tiranno, per poi essere agli ordini della guardia nazionale repubblicana dove molti dei suoi componenti hanno solo il merito della violenza e della sopraffazione mentre l’Arma ha sempre difeso le leggi dettate da governi legalmente costituiti e ha protetto i deboli contro i prepotenti".

Certo ci fu chi nell’Arma si imboscò, chi si schierò dalla parte sbagliata. La maggioranza però seguì l’esempio di Infelisi e rese più facile il cammino verso la Liberazione. I Carabinieri, infatti, avevano armi ed equipaggiamento ed erano addestrati a combattere. Fornirono aiuto logistico e conoscevano il territorio dove abitualmente operavano. Godevano della fiducia della popolazione. Fecero la loro parte per liberare l’Italia e per questo la loro storia andava assolutamente e finalmente raccontata.

Roberto Roveda

La copertina del libro
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