Da migliaia d’anni l’uomo nasce e muore senza aver mai trovato una risposta complessiva alla domanda che continuiamo a porci, ovvero qual’ è il senso della nostra vita sulla terra.

Chi crede in Dio pensa che ci sia un disegno soprannaturale nella vita dell’uomo e della natura; chi invece non ci crede ritiene che la vita sulla terra e quella dell’uomo siano frutto “del caso e della necessità” e che con la morte tutto finisca. Per questo motivo continuiamo interrogarci sulla nostra via, a chiederci di chi è la vita che viviamo, se possiamo ritenerla nostra, spenderla come ci pare, oppure dobbiamo renderne conto a qualcuno.

Nel film “Di chi è la mia vita?” Richard Dreyfus è uno scultore che una mattina finisce con l’auto sotto un camion e resta paralizzato dal collo in giù e per poter vivere deve fare la dialisi. L’arte, la scultura erano tutta la sua vita. Questa nuova condizione che imprigionava il corpo e gli impediva di esprimere l’arte che aveva dentro era la morte del suo spirito. Ma no, diceva John Cassavetes, nella parte del medico, tu sei solamente depresso. Se curiamo la depressione tu potrai vivere bene accettando anche questa nuova condizione di vita.

Convinto che ormai il suo spirito sia definitivamente morto, Dreyfus chiede di poter interrompere il filo che lega il suo corpo alla vita, di sospendere cioè la dialisi e si batte per veder riconosciute le sue ragioni.

Ora è evidente che la nostra vita è fatta di scelte individuali. Dove vivere, che lavoro fare, se aver figli, con quali amici stare. Ancora, cosa mangiare, bere, fumare, usare droghe, fare una vita spericolata. Sono tutte scelte individuali per le quali siamo quasi sempre soli a decidere perché riteniamo nostra la vita.

Perché ad un certo punto della vita non possiamo scegliere ancora? Fra i malati terminali e quelli affetti da gravi infermità si riscontra sia la difficoltà di accettare una vita comunque difficile, fatta di dolori e di dipendenza fino a volerne la interruzione, che quella di voler continuare a vivere comunque e di sperare. Servono, quindi, indirizzi generali, frutto di una discussione pubblica, ma che rispettino la volontà di ciascuno di noi di essere padroni della propria vita. I politici non sono capaci di legiferare perché ciascuno ha una visione personale del senso della vita. Ed allora questi indirizzi, queste leggi devono prendere spunto dal sentimento generale dei cittadini.

Antonio Barracca (Cagliari)
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