Gualtiero Cualbu, numero uno di Nuova iniziative Coimpresa, è molto turbato dalla pubblicazione delle intercettazioni telefoniche che lo riguardano. «In questa città non è più possibile far nulla».

Gualtiero Cualbu, numero uno di Nuova iniziative Coimpresa, è molto turbato dalla pubblicazione delle intercettazioni che rivelano rapporti tra lui, il consigliere regionale sardista Paolo Maninchedda, l'ex sovrintendente ai beni archeologici Vincenzo Santoni, l'avvocato dello Stato Giulio Steri. Parla di «barbarie», di «una città dove non è più possibile far nulla».

Come mai assunse la figlia di Vincenzo Santoni, soprintendente ai beni archeologici?

«Fu un caso».

Ce lo racconti.

«Nel 2005 stavamo terminando i lavori del T hotel e ci fu un problema con lo studio di ingegneria che ci stava curando gli interni dell'albergo. Ci servivano altri ingegneri. Mi rivolsi a un professionista di fiducia e gli chiesi di indicarci sei colleghi. Così fece: tra loro c'era Valeria Santoni, che aveva un ottimo curriculum con esperienze anche internazionali. A tutti facemmo un contratto di consulenza. Lavorarono bene e li incaricammo anche di collaborare al progetto della casa dello studente di Tuvixeddu».

C'è un piccolo problema: Valeria Santoni è la figlia del soprintendente ai beni archeologici che decideva sui progetti sul colle.

«Lo so, ma ogni illazione sull'argomento è priva di senso e le spiego perché».

Prego.

«Primo: nell'accordo di programma del 2000 Santoni non aveva alcun tipo di ruolo sui progetti edilizi e il suo voto contrario o favorevole per noi era irrilevante».

Per quale ragione?

«Coimpresa aveva ceduto al Comune 21 ettari nei quali realizzare il parco. Dunque la soprintendenza archeologica doveva vigilare su un intervento pubblico in una zona pubblica. L'area dell'intervento edilizio era un'altra. Inoltre l'ingegner Santoni lavorò con noi dal 2005 al 2007, in un periodo in cui non avevamo alcun problema, se non il no alla strada che attraversava il colle».

Magari una sorta di debito di riconoscenza.

«Non c'era nessun debito. E ricordo anche che quando si firmò l'accordo di programma il gruppo Cualbu aveva solo il 25% di Coimpresa. Il 75% era di Impregilo, che amministrava la società. Tanto che l'accordo non lo abbiamo firmato noi».

Ma Santoni (padre) tornò in campo nel 2008 quando venne istituita la commissione regionale del paesaggio che doveva decidere sull'estensione del vincolo sul colle. Fu lui a negare i nuovi ritrovamenti di tombe che avrebbero giustificato i nuovi vincoli.

«Il ritrovamento di nuove tombe nell'area interessata all'intervento edilizio è una mistificazione della realtà. Del resto anche i successori di Santoni e ben 13 sentenze del Tar e del Consiglio di Stato hanno confermato questa tesi. Tutti i sepolcri rinvenuti sono all'interno del parco, che non a caso prima del 2000 è stato esteso da uno a 21 ettari tra vincolo diretto e indiretto. Fu il ritrovamento di quei sepolcri a giustificare parte dei finanziamenti ottenuti per il parco archeologico e a dare il via agli scavi seguiti dalla sovrintendenza».

Non tutti sono d'accordo.

«E sono in malafede. Le uniche cose nuove, ammesso che siano rilevanti, sono alcune ossa rinvenute nel versante del colle diametralmente opposto a quello dove c'è l'intervento edilizio, cioè a Sant'Avendrace. Ma Soru, supportato da orde di ambientalisti che agiscono solo sulla base di ideologie e senza conoscere i fatti, voleva un pretesto per estendere i vincoli, strumentalizzando la realtà, per evitare che si costruisse».

Parliamo dei rapporti con il consigliere regionale sardista Paolo Maninchedda. Tra voi c'è confidenza. E non ci sarebbe niente di male se Maninchedda non avesse proposto in commissione bilancio l'acquisizione dei terreni da parte della Regione.

«Veramente l'unica proposta di acquisto delle aree la fece Renato Soru. Di ciò che disse Maninchedda, persona di specchiata onestà e trasparenza che conosco da anni, lessi sui giornali».

La sua proposta vi avrebbe avvantaggiati.

«No, e poi io ero assolutamente contrario. Del resto non vedo perché avrei dovuto dire sì. Siamo noi in posizione di forza: abbiamo un contratto, cioè l'accordo di programma del 2000, abbiamo 13 sentenze che dimostrano la correttezza del nostro operato e censurano, semmai, quello della Regione».

Tranne l'ultima del Consiglio di Stato.

«Quella riguarda le autorizzazioni paesaggistiche, è un'altra storia».

Ma se fosse stato dichiarato l'interesse pubblico di tutto il colle avreste rischiato l'esproprio.

«Impossibile. In ogni caso la proposta di Paolo aveva solo un obiettivo: far risparmiare alla Regione, e dunque ai cittadini, i costi ingenti dei risarcimenti che hanno chiesto le imprese e dei danni enormi che questa cieca battaglia ha provocato alla città. Questo è un aspetto di cui, purtroppo, si parla poco».

Non crede che tra politici e imprenditori ci dovrebbero essere rapporti più distaccati?

«Il mondo della politica e dell'impresa devono dialogare, guai se non lo facessero. Siamo una componente fondamentale della società».

Purché non si sconfini.

«Si tenta sempre di far passare il concetto che imprenditori e politici facciano affari loschi. Non sono d'accordo. Sono una persona onesta che può girare a testa alta e lo stesso dico di Maninchedda. Le nostre storie lo dimostrano».

Parliamo del rapporto con l'avvocato dello Stato Giulio Steri, controparte di Cualbu in un ricorso al Tar. Qualche giorno prima di un'udienza importante la contatta un suo amico che le dice che Steri è con un magistrato del Tar e glielo vuole presentare, come mai?

«Conosco Steri da anni e quando lo incontrai era a una festa di Gavino Sanna che si svolgeva al T hotel. In quei giorni lui era in aspettativa da avvocato dello Stato perché era candidato alle elezioni regionali con il Pdl. Mi chiamò Carletto Massidda, mio medico di fiducia, e mi presentò il magistrato».

Un po' strano a pochi giorni da un'udienza che vi riguardava.

«Peccato che quel magistrato fosse in una sezione diversa da quella che doveva esaminare il nostro ricorso».

Nelle telefonate parla anche del sindaco, e non benissimo.

«Mi riferivo al fatto che a mio avviso si sarebbe dovuto opporre con più forza allo strapotere di Soru sul piano politico. Ma sul fronte giudiziario è stato esemplare. Il Comune si è sempre difeso con forza: del resto rischiava di essere chiamato a pagare danni e non vedeva realizzato un parco archeologico importante per la città. Questo Floris lo ha sempre detto».

Dopo l'ultima sentenza del Consiglio di Stato e dopo la delibera della Giunta regionale che riapre il dialogo sull'attuazione dell'accordo di programma, che prospettive ritiene abbia il vostro progetto?

«Per quanto riguarda le autorizzazioni paesaggistiche le ripresenteremo seguendo le indicazioni e ce le ridaranno. Quanto alla decisione di attuare l'accordo di programma sono soddisfatto. Le numerose sentenze dei giudici amministrativi non consentivano più di stare a guardare, pena un aggravio di costi enorme».

Siete disponibili a rivedere il progetto?

«Abbiamo sempre detto sì. Purché siano ristabiliti certezze di tempi e di regole».

FABIO MANCA
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