I giudici non hanno creduto alla versione della difesa che aveva provato a smontare il castello accusatorio del pubblico ministero. Per il pm Salvatore Atzas avrebbe ideato il sequestro e lo avrebbe gestito sin dall'inizio, mentre Barranca sarebbe subentrato in un secondo momento nell'ovile di Su Padru, ma lavorando a pochi passi dalla tana in cui si trovava Titti non poteva non sapere che dentro vi era un uomo incatenato. La difesa nel corso del processo aveva sollevato tanti dubbi sulla prigionia e sulla liberazione di Titti e raccontando un'altra verità a cui, però, i giudici non hanno creduto. Barranca, per il suo avvocato, sarebbe stato del tutto estraneo al sequestro. Atzas, secondo i suoi difensori, avrebbe invece restituito la libertà a Titti dopo che qualcuno gli aveva chiesto di tenerlo nel suo ovile. La stretta di mano in aula, per il collegio difensivo, sarebbe stata la prova della riconoscenza dell'ex ostaggio. Ma ai giudici questo non è bastato. L’INCHIESTA BIS. Intanto prosegue dalla parte della Dda di Cagliari l'inchiesta Bis per individuare il resto della banda. All'appello, in questa vicenda ricca di misteri e colpi di scena, mancano infatti ancora tante persone. Ad esempio il gruppo di prelievo dove vi potrebbe esser stati dei bonorvesi. Il pomeriggio del 19 settembre quando gli tesero un agguato all'interno della sua azienda, Titti sentì, fra le persone che lo imbavagliavano e incaprettavano puntandogli un fucile in faccia, un uomo che parlava il suo dialetto. Proprio stamattina durante le repliche l'avvocato Manconi, uno dei due difensori di Salvatore Atzas, ha rivelato un particolare inedito su una conversazione avvenuta tra alcuni familiari di Titti Pinna dopo la liberazione. Una conversazione nella quale si parlerebbe di "sequestro familiare" fatto da persone "che abbiamo anche aiutato". Pinna venne prelevato dalla sua azienda a pochi chilometri a Bonorva il 19 settembre 2006. Dopo oltre otto mesi di prigionia il 28 maggio 2007 fuggì dalla tana ricavata nell'ex porcilaia dell'ovile di Su Padru, gestito da Atzas e dal suo servo pastore Barranca e chiede aiuto agli operai della Gmc una azienda di Sedilo. Il giorno del rapimento la famiglia ricevette due telefonate. Nella prima lo stesso Titti Pinna disse alla sorella, dal suo telefono cellulare, "preparate 350 mila euro altrimenti mi ammazzano", nella seconda la richiesta venne ribadita da uno dei sequestratori. Poi, per mesi, non vi furono contatti tra i familiari dell'ostaggio e i rapitori. In tanti, anche fra gli inquirenti, si convinsero che l'ostaggio fosse morto. La famiglia riprese a sperare la mattina del 15 marzo quando nello studio di un avvocato sassarese venne recapitata una busta con il ritaglio del quotidiano L'Unione Sarda del 25 gennaio 2007 con la firma di Giovanni Battista Pinna. Da quel momento non ci furono, però, più segnali sino alla mattina del 28 maggio quando Titti si presentò scalzo e con la barba lunga all'interno di un fabbrica di Sedilo dicendo di essersi liberato spezzando con una forchetta la catena che lo tenne prigioniero per oltre otto mesi.
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