E’ inusuale che un emigrato manifesti in piazza e renda le sue difficoltà di dominio pubblico. Il disagio dev’essere immenso, se Francesco Nieddu ha messo da parte ogni pudore e si è incatenato davanti al Comune di Novara a urlare la sua necessità di un lavoro, "qualunque lavoro purché onesto". Non ci sono dubbi: ne avesse voluto uno disonesto avrebbe già trovato.

Inusuale (la protesta) perché in genere i nostri emigrati, partiti dalla Sardegna alla ricerca di un lavoro e ritrovandosi in serie difficoltà, mai hanno reso note le loro tristi condizioni. Non sarà politicamente corretto dirlo, ma nell’arco di decenni di emigrazione sarda, soprattutto all'estero, non tutti hanno fatto fortuna. Spesso partiti per terre e culture completamente sconosciute, si sono ritrovati nel mezzo delle crisi economiche di quei Paesi e a vivere peggio di come vivrebbero in Sardegna se tornassero indietro. Il punto è questo: non tornano indietro proprio per quel pudore e ritrosia a mettere in piazza le proprie miserie. Come se emigrare sia sinonimo di successo e, se non lo si raggiunge, sia per propria incapacità. Spesso neppure i famigliari nell’Isola sono a conoscenza di come vivono i loro cari a migliaia di chilometri da casa, convinti che non vengano mai a trovarli perché molto impegnati a far soldi e negli affari, e non immaginando, invece, che spesso non possono tornare per problemi di soldi. Chi è espatriato per avere successo o semplicemente il lavoro che la Terra natia gli ha negato, mai certificherà il proprio fallimento personale tornando indietro a mani vuote.

Non è il caso di Francesco Nieddu, che potrebbe pure non essere considerato un emigrato. Lui è a Novara, nel Piemonte industriale e industrioso, nel nord dove un tempo solo chi non aveva voglia di rimboccarsi le maniche restava senza lavoro e oggi è vittima della stessa crisi che attanaglia il centro e il sud del nostro Paese. Lui ha manifestato apertamente e certificato la sua difficoltà: ora aspetta risposte.

Anna Piccioni
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