In ufficio siete abituati a concedervi pause per giocare ai videogame sul pc? Attenzione: si rischia il posto. L'avvertimento arriva dalla Corte di Cassazione, cui è stato sottoposto il caso di un impiegato licenziato da un'azienda farmaceutica per aver giocato al computer in orario di lavoro per 260-300 ore in un anno (circa un'ora e mezzo al giorno). Il dipendente aveva però impugnato la decisione della società, ottenendo il reintegro, in quanto la contestazione dei suoi superiori è stata considerata "troppo generica", mancando il numero esatto di partite giocate. L'azienda, convinta di aver agito nel giusto, si è quindi rivolta in ultima istanza alla Suprema Corte. Che le ha dato infine ragione, sostenendo che "l'addebito mosso al lavoratore non può essere ritenuto generico per la sola circostanza della mancata indicazione delle singole partite giocate abusivamente" in quanto la pretesa "appare illogica". Per gli ermellini, insomma, per qualificare l'atteggiamento negativo del "giocare in continuazione" in ufficio non serve conoscere il numero esatto di partite giocate, ma basta appurare le abitudine del dipendente. Se esagera, insomma, è lecito licenziarlo.
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