Chi ci sarà dopo di lui si prenderà il suo armadio, ma senza il disordine cantato dal poeta: almeno nei conti. È una promessa. Raffaele Paci, assessore al Bilancio che si appresta a varare l'ultima legge finanziaria della legislatura, non vuole lasciare in eredità "neppure un euro di disavanzo nella sanità. Con la manovra 2019 azzeriamo tutti i debiti": 600 milioni per far calare "una pietra tombale" sulle pendenze.

L'assessore promette anche più fondi sul piano Lavoras, un "pacchetto artigianato" da 20 milioni, e altro ancora. Ma resta il cruccio dei rapporti Stato-Regione: "Sui grandi temi serve la massima unità dei sardi", ragiona Paci dopo anni di estenuanti trattative col governo.

"La continua alternanza tra i poli nell'Isola non ha dato buoni frutti, forse le singole coalizioni non sono sufficienti. Bisogna andare oltre gli schemi". Quanto alla prossima manovra, che Paci spera di portare a casa entro l'anno, "la situazione finanziaria non è negativa. Per due elementi: migliora il ciclo economico e risale l'occupazione".

In giro non c'è tutta questa sensazione positiva.

"Certo non abbiamo risolto tutti i problemi, l'enfasi sarebbe fuori luogo. Però il nostro Pil è cresciuto nel periodo 2015-2017 alla media dell'1,2% in più all'anno. Siamo l'ottava migliore regione italiana, la media nazionale è dell'1,1".

Anche l'occupazione non sembra mica andare tanto bene.

"Non siamo tornati ai 622mila occupati dell'epoca pre-crisi. Ma nel secondo trimestre 2013 erano 548mila, cinque anni dopo erano 592mila. Il quadro macroeconomico è in via di miglioramento".

Come imposterete la manovra?

"Intanto non crescono le tasse".

Ci mancherebbe.

"Non è scontato. Il Trentino aumenterà l'aliquota Irap. La nostra resta la più bassa in Italia, come l'addizionale Irpef. Malgrado questo, si completa un grande lavoro di pulizia del bilancio: da 5 a 2 miliardi di residui passivi, cioè i debiti accumulati. Era un disavanzo occulto, perché superavano di 1 miliardo quelli attivi, le promesse di entrata, che ora sono più alte di 500 milioni. E poi, le perenzioni: zombie contabili, vecchi debiti che non hanno più copertura".

Ma ancora esigibili?

"Spesso sì. Siamo scesi da 2,7 miliardi a meno di uno".

Sul fronte della spesa, invece?

"È prioritario avere i conti in ordine nella sanità. Ora possiamo azzerare i debiti pregressi e fare in modo di non avere, nel 2019, neppure un euro di disavanzo".

Finora il disavanzo era di?...

"Circa 350 milioni. Secondo i costi standard la spesa totale dev'essere di 3,15 miliardi. Eventuali scostamenti residui sono dovuti a scelte politiche: se stanziamo 15 milioni per la vigilanza armata nelle guardie mediche, non è inefficienza ma un servizio in più. Noi abbiamo eliminato le inefficienze".

Ma i sardi hanno la sensazione di un peggioramento dei servizi.

"Deve andare a regime l'Asl unica, una riforma cruciale: vedrà, nessuno la cambierà. Come assessore al Bilancio sono felice di aver gestito un enorme rientro di costi senza imporre ticket. Quanto ai servizi, non è la mia competenza: forse serve tempo perché ci sia l'adeguata percezione dell'importanza della riforma".

Quali saranno gli investimenti centrali nella manovra?

"Ci sono 70 milioni in più all'anno sul piano Lavoras. Fondi regionali, aggiunti ai 128 milioni Ue, per i cantieri di lavoro. Ci sono 45 milioni sul Reis: se ne parla poco, ma siamo i primi ad aver avviato una sorta di reddito di cittadinanza".

Ma sta funzionando? I sindaci segnalano molti problemi.

"Colpa della mancata riforma della Regione. Non viene gestito insieme alle politiche del lavoro".

E non potevate farla, la riforma?

"Ha ragione, è una delle cose che non siamo riusciti ad attuare. Comunque in totale per le politiche sociali passiamo da 260 a 271 milioni: siamo la Regione che spende di più. E stiamo ragionando su qualcosa per le famiglie, magari un contributo per i trasporti, o aiuti per le nascite".

Invece per le attività produttive?

"Potremmo destinare 20 milioni a varie misure per l'artigianato. Altri 75, nel triennio, andranno alle zone interne, e 80 ai Comuni per le sofferenze finanziarie".

Tanti interventi, ma non si è vista una grande idea di sviluppo.

"Beh, ci sono grandi progetti come il mutuo per le infrastrutture che ha dato lavoro. Ma in Italia per attuare le opere passano anni. Poi la metanizzazione. E la programmazione territoriale, non è un grande progetto? 500 milioni, tutti i territori coinvolti".

Eppure in giro si sente malumore sull'operato della Regione.

"Noi le cose le stiamo facendo, nei dati macroeconomici inizia a vedersi. Poi, certo, c'è il grande tema delle percezioni non positive".

Come se le spiega?

"Forse con la nostra carenza nel comunicare le cose buone".

Veniamo alle vertenze con lo Stato. Lì il bilancio non è roseo.

"Mai creduto ai governi amici. Puoi anche avere i numeri dei ministri, ma c'è un apparato statale che governa davvero e non ha interesse ad aiutare la Sardegna".

Si è pentito dell'accordo sulle entrate del 2014?

"No, lo rivendico. Le abbiamo rese certe con le norme di attuazione dello Statuto, sono arrivati gli arretrati. E avevamo accettato una quota di accantonamenti (contributi della Regione al risanamento del debito pubblico, ndr ): se lo Stato pochi mesi dopo li aumenta unilateralmente, è una slealtà".

Siete stati ingenui a fidarvi?

"Diciamo che, se dovessi scrivere oggi l'intesa, lo farei diversamente. Ma non ci ha provocato danni perché non stiamo pagando le somme in più".

Però aver ritirato i ricorsi...

"Anche vincendoli avremmo dovuto trovare poi un accordo col governo. La Corte costituzionale non riscrive i bilanci".

Solo che la trattativa col governo non ha portato a nulla.

"Col governo precedente abbiamo fatto tantissimi incontri, ma alla fine senza esiti".

E col governo attuale?

"Non so più quante lettere abbiamo mandato a Palazzo Chigi e al ministero dell'Economia. Non ci hanno neppure risposto. La Sardegna in certi ambienti non conta abbastanza. Su alcuni temi dovremmo superare gli schemi delle coalizioni e cercare di unirci il più possibile tra sardi. Trasporti, entrate, infrastrutture: dobbiamo dividerci su queste cose?".

Sta proponendo una grande ammucchiata elettorale?

«Certamente no, e non è mio compito proporre coalizioni o cose simili. Dico che dovremmo trovare più unità su alcune battaglie per gli interessi dei sardi, che non necessariamente corrispondono agli interessi dello Stato».

È diventato indipendentista?

"No. Penso però che abbiamo bisogno di più autonomia. Abbiamo davanti un percorso di decenni, alla fine del quale qualcuno vede l'indipendenza: ma che senso ha dividerci oggi su questo? Lottiamo oggi per avere più autonomia sulle scelte che riguardano i sardi".

Sembra riecheggiare la convergenza nazionale di Maninchedda.

"Non voglio riecheggiare nulla, sento ragionamenti simili a sinistra ma magari anche in Forza Italia. Noto solo che negli ultimi 25 anni in Sardegna c'è sempre stata alternanza tra i poli, e questo forse non ha aiutato a risolvere i problemi".

E se alla Regione vincessero i 5Stelle? Vale anche con loro l'appello all'unità?

"Vale sempre, ma dipenderà da loro. Il M5S condivide le nostre lotte? I parlamentari sardi ci danno una mano? Io spero di sì, non penso al tanto peggio tanto meglio. Non ragiono da uomo di partito".

Ma lei è iscritto al Pd?

"No. Sono entrato in Giunta come tecnico e mi è sembrato giusto conservare questo profilo".

Si candiderà alle Regionali?

"Assolutamente no".

Giuseppe Meloni

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