Sempre più caos in Libia. I ribelli avanzano, si combatte ormai a sei chilometri da Tripoli, e l'ultimo bilancio diffuso dal ministero della Salute parla di 47 morti e 129 feriti in 8 giorni.

È fissata per oggi la riunione convocata dall'Unsmil, la missione Onu in Libia, con le milizie che si stanno dando battaglia da oltre una settimana.

La partita da giocare sullo scacchiere internazionale è di quelle difficili: l'Italia (oggi sulla questione si tiene un vertice a Palazzo Chigi) ha da subito puntato sul debole al Sarraj (con cui Minniti ha stretto gli accordi per diminuire gli sbarchi), sostenuto dall'Onu e dagli anglo-americani. Parigi ha spiazzato gli alleati e si è schierata con il generale Haftar, sostenuto da Mosca e dal Cairo.

Mentre Nazioni Unite e Unione Europea chiedono un immediato cessate il fuoco, l'Italia esclude - con le parole di Trenta e Salvini - ogni intervento militare. E punta il dito contro la Francia.

Chiare a proposito le parole di Matteo Salvini: "Sono preoccupato. Penso che dietro ci sia qualcuno. Qualcuno che ha fatto una guerra che non si doveva fare, che convoca elezioni senza sentire gli alleati e le fazioni locali, qualcuno che è andato a fare forzature, a esportare la democrazia, cose che non funzionano mai. Spero che il cessate il fuoco arrivi subito".

Macron al momento non risponde all'ennesima polemica innescata dal leader del Carroccio, che su questa linea ricompatta il governo e anche il vecchio centrodestra.

D'accordo con lui il ministro della Difesa Elisabetta Trenta e, questa volta, anche il presidente della Camera Roberto Fico, secondo cui la crisi libica "è un problema che ci ha lasciato la Francia".

Eppure Roma e Parigi nei giorni scorsi, assieme a Londra e Washington, hanno espresso ufficialmente una posizione comune, condannando l'escalation militare.

I sospetti su uno zampino di Macron non sono solo italiani, è noto che la Francia e l'inquilino dell'Eliseo abbiano appoggiato il generale Khalifa Haftar, nemico numero uno del premier riconosciuto dall'Onu Fayez al Sarraj.

Tanto che lo stesso presidente dell'Europarlamento Antonio Tajani striglia i cugini d'Oltralpe: "Macron sbaglia, un solo Paese non può essere egemone in Libia", afferma nell'auspicio che si trovi presto un compromesso.

Più cauto il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, che in una nota "condanna" gli episodi di violenza e ribadisce il "pieno sostegno italiano alle legittime istituzioni libiche e al piano d'azione dell'Onu".

LE RIPERCUSSIONI SULL'ITALIA - Intanto resta alta la preoccupazione per i circa 430 italiani che si trovano nella polveriera libica. Sarebbero stati evacuati una decina di tecnici dell'Eni e diversi diplomatici dell'Ambasciata a Tripoli, che resta aperta "con una presenza flessibile", fanno sapere dalla Farnesina. Neanche l'ambasciatore Giuseppe Perrone si troverebbe al momento nel Paese.

Gli scontri preoccupano anche perché mettono seriamente a rischio l'accordo sui migranti stipulato dal governo Gentioni e confermato da quello Conte con l'invio di 12 motovedette. Il conflitto ha fatto saltare i presidi con cui Tripoli controllava i flussi migratori, cosa che potrebbe portare a un aumento degli sbarchi: sono almeno 50mila le persone pronte a partire.

Senza considerare che sui barconi potrebbero salire diversi elementi vicini agli ambienti jihadisti, solo ieri 400 detenuti - molti dei quali considerati terroristi - sono evasi da un carcere alle porte della capitale.

E sono a rischio anche le attività petrolifere, fa sapere Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia: "Non è più possibile, al momento, continuare a trattare per proseguire gli investimenti e le attività economiche petrolifere in Libia. La situazione non è più controllabile".

"L'impatto - aggiunge - non è da poco, visto che sono già in ritardo diversi progetti e molto lontani i livelli produttivi di anni fa. Al momento abbiamo riscontro che alcune strutture petrolifere hanno richiamato il personale su alcuni siti di elevato rischio".

(Unioneonline/L)

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