Sette anni fa la caduta di Muammar Gheddafi asserragliato a Sirte in diretta televisiva mondiale aveva fatto sperare che anche per la Libia si potesse aprire un processo di democrazia e fine dell'isolamento politico. La stessa illusione provata per gli altri Stati nordafricani contagiati dal vento delle cosiddette Primavere arabe. Archiviati i 42 anni di regime assoluto, iniziati con il colpo di Stato del 1969 e la destituzione di re Idris con il giovane Muammar Gheddafi alla testa di un gruppo di ufficiali dell’esercito, il Paese ha dovuto invece fare i conti con un vuoto di potere assoluto, con la mancanza di un collante tra le tante fazioni tribali e la presenza sempre più minacciosa di milizie islamiche integraliste.

Il risultato è stato il caos, politico e militare, insieme a governi deboli che non non sono mai riusciti ad avere il controllo del Paese e che, nonostante l‘appoggio dell'Occidente e delle Nazione Unite, non sono unanimemente riconosciuti dalla popolazione.

Poi, nonostante le prime elezioni libere dal 1965, nel 2012 e nel 2014, nel Paese è scoppiata una guerra civiletra le tante forze in gioco, padrone di porzioni limitate di territorio e libere di agire senza controllo, per l'assenza - o l'impotenza - di un esercito o forze dell'ordine nazionali.

Le macerie di Sirte dopo la caduta di Gheddafi. (Foto Ansa)
Le macerie di Sirte dopo la caduta di Gheddafi. (Foto Ansa)
Le macerie di Sirte dopo la caduta di Gheddafi. (Foto Ansa)

C'è poi il peso degli errori esterni, quelli dei Governi occidentali che in questi anni sono intervenuti nel Paese a tutela dei propri interessi economici e, più tardi, per limitare il fenomeno le partenze dei migranti dalle coste libiche. Francia e Italia in testa.

La prima sostiene oggi il generale ribelle Khalifa Belqasim Haftar, mentre la seconda - insieme ad altri Paesi e alle Nazioni Unite - ha scelto di puntare su Fayez al-Serraj per guidare il Governo e stabilizzare l'area, ed è stata ripagata dalla sua collaborazione nella gestione dei flussi migratori.

Oggi, però, abbiamo davanti la dimostrazione del fallimento del Governo provvisorio di Serraj e delle scelte geopolitiche degli attori occidentali, perché il Paese è ripiombato nella violenza gli con scontri tra le forze ribelli di Rahim al-Kani - uno dei capotribù della zona - e le milizie di Serraj proprio nella capitale Tripoli.

La prova evidente di una gestione del dopo Gheddafi disastroso, confermata lo scorso maggio dal tentativo andato a vuoto del Presidente francese Emmanuel Macron di raggiungere un accordo tra i vari attori: il Premier Fayez al Sarraj e Khalid al Mishri, rappresentante della Fratellanza musulmana e presidente dell’Alto consiglio di stato, il generale Khalifa Haftar e il presidente della Camera di Tobruk Aguila Saleh.

L'intervento di al-Serraj all'Onu. (Foto Ansa)
L'intervento di al-Serraj all'Onu. (Foto Ansa)
L'intervento di al-Serraj all'Onu. (Foto Ansa)

E l'assedio di Tripoli, con i 50 morti, il lancio di razzi sulla città e l'evasione dal carcere di Ain Zara di 400 detenuti - in gran parte ex sostenitori di Gheddafi - è il simbolo dello stato di anarchia in cui versa il Paese.

Un'anarchia che non può che impensierire i Paesi europei, ora preoccupati che il "porto sicuro" libico salti, che il fragile Governo non riesca più a frenare le partenze dei disperati, e che la guerra civile metta a rischio i nostri investimenti nel Paese, come i giacimenti e i gasdotti dell'Eni.

Una minaccia che potrebbe convincere l'Europa a un atteggiamento finalmente allineato e compatto nei confronti della Libia, in primis sul piano dell'assitenza ai civli, con l'apertura di un corridoio umanitario e un intervento politico tra le forze opposte, anche in vista delle elezioni previste nel Paese per il prossimo dicembre.

(Unioneonline/b.m.)
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