È l'ultimo avamposto pastorale nel monte mito dei nuoresi. Il rosso dei gerani guida l'occhio dell'automobilista diretto in cima all'Ortobene, passando da Sedda Ortai, all'ovile simbolo di un tempo che, pur passato, conserva un forte fascino, capace di rigenerare il sorriso di una famiglia e la voglia di futuro.

Sa Conca, fungo di granito consacrato in tanti poster, è eredità arcaica, ma non da museo. «Io l'ho sempre conosciuto, mi piace il posto, mi piacciono gli animali, mi piace tutto quello che c'è. Per tanti anni ho fatto il pastore a tempo pieno. Poi non andava più bene: era troppo improduttivo, anche perché qui non c'è tanta terra, ma pietra. Ora faccio il pastore per le necessità di famiglia».

Francesco Salvietti, per tutti Checco, ha 46 anni, una moglie, Stefania, innamorata come lui di quel gioiello di pietra immerso nel bosco di lecci, due figli di 24 e 20 anni che condividono le passioni dei genitori e una bambina che mostra le capre ai suoi coetanei che talvolta le confondono con le mucche.

LA SCOMMESSA - Sa Conca, ai piedi del monte "Pala de casteddu", è stato ovile per generazioni di pastori nuoresi, che tiravano avanti nelle terre pubbliche. Un riparo naturale nella roccia. All'interno gli spazi della grotta sono uguali, anche se i divani hanno preso il posto dei vecchi giacigli. All'esterno gli oggetti della tradizione pastorale: campanacci, recipienti per la raccolta del latte. Dietro, in mezzo al bosco, una cinquantina di capre, un po' di pecore, un cavallo, una mucca, un paio di galline. E pure l'orto.

«La mattina e la sera mio marito e i miei figli sono qua, d'estate e d'inverno», dice Stefania Carta, 42 anni, un lavoro in un'azienda e il legame con questa terra dove mette fiori a impreziosire i graniti o a riempire di colori gli antichi paioli in rame e cura un piccolo prato laddove non era mai stato concepito prima. La casa della famiglia è un appartamento in città. Ma ogni santo giorno la tappa all'ovile di Sa Conca, enclave privata dentro un Monte passato perlopiù al Comune che l'ha affidato a Forestas, è irrinunciabile. «Prima - dice lei - c'erano i miei suoceri che, però, qui non vedevano nessun futuro. Era il loro ovile, senza prospettiva. Io invece in questo posto ci credo, lo viviamo giornalmente, se non veniamo qua ci manca l'aria. Facciamo il formaggio e la ricotta col latte di capra. Mi piacerebbe fare una fattoria didattica che valorizzi questo posto, senza danneggiarlo».

IL PARCO - I turisti si affacciano per caso, anche perché nessuna segnaletica li porta qui se non la meta del Redentore. «È successo che alcuni si siano fermati mentre eravamo seduti a pranzare all'aperto. Poi ci hanno chiesto il conto, e sono rimasti male perché non facciamo ristorazione», racconta Stefania Carta, orgogliosa custode della casa nella roccia e del piccolo mondo intorno.

Le capre, nel frattempo, fanno pulizia del sottobosco: dalla mattina alla sera, quando tornano quasi in autonomia, sono il più naturale rimedio all'incuria. Un efficace intervento di prevenzione anche sul fronte antincendio. Sul lato opposto il parco di Sedda Ortai mostra l'abbandono che si trascina da decenni. Sopravvivono le vecchie altalene, ma è vietato usarle tanto sono pericolose. Per fortuna i bambini ci sono, portati qui come ha fatto ieri l'associazione "Dietromammanonsiamo La casetta" per scoprire il Monte e mangiare un panino.

«Sarebbe bello che il parco di Sedda Ortai tornasse a vivere, che venisse pulito e curato», auspica Stefania Carta mentre offre un caffè nella casa-grotta. «Un monolocale, living e notte. Qui, dove le rocce si uniscono, c'è tettoia per la cucina».

LE POTENZIALITÀ - «Il nostro Monte - aggiunge lei - ha tante potenzialità, ma non siamo capaci di tenerlo pulito. Mi piange il cuore vedere il parco di Sedda Ortai così abbandonato. Io conto di abbellire questo posto perché credo che il nostro hobby possa diventare qualcosa di più».

Marilena Orunesu
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