"Ho visto il primo pezzo di ponte cadere e ho pensato che stessero effettuando dei lavori, poi ho notato un pilone che veniva trascinato dall'asfalto e le auto davanti a me che si fermavano di colpo. Solo allora ho realizzato che mi trovavo a poche decine di metri dal baratro, da quell'immenso baratro che aveva trascinato con sé macchine e camion e persone".

Federico Corona, 21 anni, cuoco originario di Solarussa, alle 11.37 di martedì percorreva il ponte Morandi a bordo della sua Citroen C3 blu.

"Stavo andando a trovare la mia fidanzata che abita alla periferia di Genova. Stavo completando la curva in salita del viadotto quando ho notato una enorme nuvola di polvere che si sollevava dal basso, quindi gli stop delle auto che mi precedevano".

Cosa ha fatto quando si è accorto che le auto si erano fermate?

"Ho messo la retromarcia, come avevo visto fare ad altri che mi stavano dietro, e ho provato a tornare indietro. In quei momenti ho avvertito una scossa che ha fatto tremare la macchina. Ho pensato che sarei precipitato anch'io e che sarei morto. Intanto, con il cuore che mi batteva all'impazzata, acceleravo. Avrò percorso 50-60 metri in retromarcia poi mi sono fermato".

"Ho aperto la portiera e in quel momento ho visto un altro pezzo di ponte staccarsi e cadere nel vuoto. Un'immagine surreale, sembrava la scena di un film catastrofico. Purtroppo, era tutto reale. Per alcuni istanti sono rimasto a guardare, ho avuto paura. Dopo, istintivamente, ho iniziato a correre verso la galleria che immette sul ponte dove tutti si stavano dirigendo. Ogni tanto mi voltavo e vedevo auto sospese per aria tra i piloni crollati. Un incubo".

Cosa ha pensato in quegli attimi?

"A salvarmi, a trovare un posto sicuro che non venisse inghiottito. Vedevo auto che si sbattevano una contro l'altra, tentativi inutili di inversione di marcia. E ho sentito urla e avvertito il terrore, il panico. È stato un momento terribile".

E poi?

"Sono arrivato alla galleria insieme a tantissime altre persone. Nel frattempo, le prime pattuglie di carabinieri e vigili del fuoco avevano cominciato a predisporre un cordone sul viadotto per impedire che qualcuno potesse avventurarvisi. Da qui, potevo osservare il disastro appena accaduto. Eravamo tutti senza parole".

"Si sentivano le urla disperate della gente, gli ululati delle sirene dei mezzi di soccorso, ma gli sguardi di chi aveva percorso quel pezzo di ponte rimasto in piedi fino alla salvezza non si distoglievano dal fondo. Si vedevano chiaramente, anche se pioveva, i rottami delle auto e dei camion, le macerie e quella spaventosa interruzione del cavalcavia. Era come se qualcuno o qualcosa lo avesse strappato con la forza".

Che ha fatto?

"Ci hanno detto di avere pazienza, di aspettare che arrivassero gli autobus del servizio pubblico per accompagnarci in centro dove avremmo potuto riorganizzarci la giornata. Siamo rimasti lì più di tre ore. Ma eravamo talmente colpiti dall'avvenimento che nessuno ha mostrato segni di impazienza. Si parlava del crollo, si pensava purtroppo al peggio, cioè alle tante vittime del disastro".

"Vedendo le auto in mezzo ai cumuli di macerie e dopo un volo di decine di metri non potevano non esserci vittime. E noi ci sentivamo come dei sopravvissuti, sapevamo che sarebbero stati sufficienti solo pochi secondi per ritrovarsi sotto il ponte. A noi è andata bene, siamo stati fortunati. Ad altri invece no, e questo ci rendeva tutti più tristi. Ci rendevamo tutti conto della tragedia".

Cosa le rimane di ciò che ha vissuto?

"La vita, la cosa più importante. Fra un mese dovrò imbarcarmi su nave da crociera per sei mesi. Lavorerò nelle cucine e cercherò di fare del mio meglio. Difficilmente dimenticherò quegli attimi di martedì mattina".

"La mia auto è rimasta sul ponte dove l'ho lasciata, ancora non l'ho recuperata. Mi hanno detto che la riavrò fra qualche giorno. Io sono vivo, è quello che conta di più".

Vito Fiori

Disastro di Genova, i volti delle vittime
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Carlos Jesus Erazzo Trujillo
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Elisa Bozzo, 34 anni
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Giovanni Battiloro
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Antonio Stanzione
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