È il 19 luglio del 1992, 26 anni fa, quando il boato di un'autobomba esplosa in via D’Amelio, alle 16.58, scuote l'afoso pomeriggio di una domenica d'estate a Palermo.

Un attentato che porta la firma di “Cosa nostra”, e in cui perdono la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, fra cui la poliziotta di Sestu Emanuela Loi.

A parlare di quei drammatici momenti è, per la prima volta in una recente intervista, l’agente Vincenzo Policheni, giovane calabrese della Squadra Volanti della Questura di Palermo, e oggi in servizio alla Squadra Mobile di Cagliari.

Policheni, in quel tragico pomeriggio, è sull'auto che arriva per prima in via Mariano D'Amelio, con il capo pattuglia Vincenzo Alberghina e Rosario Compagno.

"Ho rinvenuto un'arma sul posto dell'agguato. Si tratta di una '92' tipo quelle che hanno in dotazione le ragazze... ce l'ho personalmente io in macchina. L'ho prelevata io la pistola per paura che qualcuno potesse prenderla", dice Policheni con voce concitata dalla radio della Volante.

L’agente trova quindi la pistola di Emanuela Loi, poi raccolgono un poliziotto ferito e corrono in ospedale e da lì chiede istruzioni alla Sala Operativa. Quelle parole del giovane calabrese restano scolpite per sempre nelle conversazioni di quei momenti, registrate dalla Sala operativa e finite agli atti dei processi di Caltanissetta.

La confusione è tanta, gli agenti circoscrivono la zona, "ma nella concitazione – racconta Policheni - non avevamo direttive. Era una scena di guerra. Gente che urlava e chiedeva aiuto. Abbiamo tentato di accedere alla via D'Amelio, poi da un angolino al lato della strada è uscito un uomo irriconoscibile che ha detto di chiamarsi Antonio Vullo, che conoscevo personalmente”.

26 anni fa l'attentato a Borsellino: le prime foto scattate in via D'Amelio
26 anni fa l'attentato a Borsellino: le prime foto scattate in via D'Amelio
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Sgomento e incredulità in via D'Amelio dopo la strage
Sgomento e incredulità in via D'Amelio dopo la strage
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I carabinieri accorsi dopo l'esplosione
I carabinieri accorsi dopo l'esplosione
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La devastazione vista dall'alto
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La devastazione vista dall'alto
Il fantomatico "uomo dei servizi" che, come rivelato da un'inchiesta del giornalista Nicola Biondo, si aggirava tra le lamiere
Il fantomatico "uomo dei servizi" che, come rivelato da un'inchiesta del giornalista Nicola Biondo, si aggirava tra le lamiere
Il fantomatico "uomo dei servizi" che, come rivelato da un'inchiesta del giornalista Nicola Biondo, si aggirava tra le lamiere
Le macerie in via D'Amelio davanti alla casa della madre di Borsellino, che quel giorno il giudice si era recato a trovare
Le macerie in via D'Amelio davanti alla casa della madre di Borsellino, che quel giorno il giudice si era recato a trovare
Le macerie in via D'Amelio davanti alla casa della madre di Borsellino, che quel giorno il giudice si era recato a trovare

Da Roma arrivano martellanti le richieste di notizie, il Ministero vuole sapere chi sia la personalità rimasta vittima dell'attentato, e anche 'Papa 1', il Prefetto, sollecita informazioni. Policheni è lì, si aggira tra quelle che erano delle auto, ridotte ad un ammasso informe di rottami. "Era terribile, pezzi d'auto dappertutto, resti umani, fumo, confusione, urla, disperazione. Cercavamo di avere la certezza della morte dei nostri colleghi, prima tre, poi quattro, infine cinque, e la certezza che si trattava del giudice Paolo Borsellino. Eravamo choccati, ma dovevamo mantenere la calma e operare come ci avevano insegnato", racconta.

Policheni capisce subito cosa sia successo perché fino a poco tempo prima era anche lui alle scorte. "I colleghi sono tutti a terra, sfracellati, tranne uno: Vullo. Antonio Vullo, dell'Ufficio scorte, che abbiamo trasportato immediatamente in ospedale – spiega ancora dalla Volante alla Sala operativa - Adesso io mi trovo qui all'ospedale. Vorrei sapere cosa devo fare? Devo tornare sul posto o devo rimanere qua? Probabilmente i colleghi sono tutti morti e anche il magistrato”.

Il resto è cronaca nota.

Policheni vive oggi a Cagliari, quasi in un omaggio alla terra sarda che ha dato i natali alla collega Emanuela Loi, che non ha mai conosciuto ma che ha profondamente segnato la sua vita.

Oggi è Sovrintendente Capo fra i migliori investigatori della Seconda Sezione della Squadra Mobile, un uomo che serve lo Stato con quella passione di chi, da a 20 anni, ha sposato l'uniforme della Polizia.

"Passano gli anni, ma il 19 luglio, arriva - continua il poliziotto - e con questo giorno riaffiorano i ricordi. Il boato, la corsa verso via D'Amelio, quello scenario apocalittico, pezzi d'auto, poi i cadaveri carbonizzati dei colleghi, la pistola di Emanuela, poi Vullo e la corsa per portarlo all'ospedale. La radio che non si sentiva per le sirene. Una scena da paura. Poi l'inquietudine dei giorni successivi, quando siamo riusciti a mettere in sequenza e a 'metabolizzare' cronologicamente l'attentato, il senso di impotenza di fronte alla mafia, la sensazione che potevano farci quello che volevano".

"Questi ricordi – conclude - non li potrà mai cancellare nessuno dalla mia memoria, resteranno sempre con me, nella convinzione di aver fatto insieme ai colleghi quello per cui siamo stati addestrati a fare in situazioni di emergenza e con il dolore per la morte dei colleghi".

(Unioneonline/v.l.)

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