"Quattro euro di risarcimento simbolico e che si tolgano la divisa". Questa la richiesta di Lucia Uva, parte civile al processo che si sta celebrando alla Corte d'assise d'appello di Milano a carico di due carabinieri e sei poliziotti accusati di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona.

Lucia è la sorella di Giuseppe Uva, morto a Varese nel giugno 2008 dopo un fermo di polizia: "Non mi interessa che vadano in carcere - ha detto - ma voglio che si tolgano la divisa. Mio fratello è morto nelle loro mani, non devono fare più questo lavoro".

I FATTI - Giuseppe Uva è morto per un infarto in seguito a un trattamento sanitario obbligatorio. Le forze dell'ordine intervennero perché Uva, con l'amico Alberto Biggiogero, aveva spostato alcune transenne nel centro del paese, disturbando i residenti. Portato in caserma in manette per il riconoscimento, è stato sottoposto a un Tso e portato poi in ospedale, dove morì d'infarto la mattina seguente.

"Per il reato che aveva commesso (disturbo della quiete pubblica, ndr) avrebbe dovuto solo pagare una contravvenzione da 150 euro", ha sottolineato l'avvocato di parte civile.

Secondo i familiari di Uva, nelle ore trascorse in caserma Giuseppe sarebbe stato picchiato, e proprio quei maltrattamenti sarebbero stati alla base del malore che lo avrebbe ucciso. "In quella caserma lo hanno picchiato e continuerò a dirlo finché non provano il contrario", ha ribadito la sorella Lucia a margine dell'udienza.

Ha parlato invece di "teorema" e "indegne invenzioni che hanno mandato in frantumi otto famiglie" l'avvocato difensore Duilio Moretti.

(Unioneonline/L)

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