Si celebra oggi il World Press Freedom Day, la 25esima Giornata Mondiale della Libertà di Stampa.

Indetta dall'Onu, la ricorrenza è stata voluta per ricordare i giornalisti uccisi e minacciati a causa del loro lavoro, della loro missione: informare, raccontando le verità, anche scomode, del mondo.

A Roma, in Italia come nel resto dei Paesi, si sono tenute le celebrazioni che, per usare le parole del presidente del Senato, Elisabetta Casellati, hanno lo scopo di ricordare l'importanza della "libertà di stampa, uno dei principi fondanti della democrazia" e che, appunto, "non ci può essere democrazia senza libertà di stampa".

Una libertà che costa — purtroppo — vite ogni anno: solo nel 2018 sono 29 i giornalisti e gli operatori uccisi nel mondo. A riportarlo è un conteggio basato sui dati della Rsf, Reporters sans frontières.

Il presidente del Senato, Casellati: "Non c'è democrazia senza stampa"
Il presidente del Senato, Casellati: "Non c'è democrazia senza stampa"
Il presidente del Senato, Casellati: "Non c'è democrazia senza stampa"

"Dai giornalisti arriva un contributo rilevante alla causa della democrazia", ha spiegato il dodicesimo e attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel messaggio inviato al presidente dell'Unione Nazionale Cronisti Italiani, Alessandro Galimberti.

"Occorre sostenere il loro lavoro — si legge — perché difendono dall'aggressione la nostra società civile e la nostra libertà personale e familiare, attraverso l’informazione libera e corretta".

Un'informazione che spesso, anche nel nostro Bel Paese, rappresenta una missione non sempre facile da espletare, complici le indicibili pressioni e le puerili minacce che giornalmente i giornalisti devono subire nello svolgere delle loro funzioni.

Secondo i dati dell'Osservatorio Ossigeno per l'Informazione, infatti, in Italia nel solo 2018 a subire minacce sono stati 76 giornalisti.

"Desidero esprimere anzitutto i miei sentimenti di vicinanza e di solidarietà ai familiari, agli amici, ai compagni di vita e di lavoro, che hanno visto spezzare l'esistenza di un loro caro", ha detto Mattarella, ricordando che "è proprio grazie a questi uomini a queste donne, al loro lavoro, che, dove prima vi era diffusa omertà, ora spesso sono presenti simboli delle associazioni impegnate contro la mafia. Dove vi era silenzio dettato dal timore, o dalla connivenza, ora vi sono le parole, forti e coraggiose dei nostri ragazzi. Dove c'era indifferenza e rassegnazione, ora si insegna la legalità".

E poi: "Una nuova stagione di violenze contro la stampa, in Italia, in Europa, nel mondo, sembra riaffacciarsi", ha rilevato il capo dello Stato, sottolineando che "ancora oggi aggressioni e intimidazioni minacciano il lavoro di quei cronisti che non si piegano alla logica di interessi e poteri illegali e della criminalità, recando così un contributo rilevante alla causa della democrazia".

Il presidente della Repubblica, Mattarella: "Nuova stagione di violenza contro la stampa"
Il presidente della Repubblica, Mattarella: "Nuova stagione di violenza contro la stampa"
Il presidente della Repubblica, Mattarella: "Nuova stagione di violenza contro la stampa"

Una causa che non deve però mai piegarsi alle istanze — lecite o meno — che vorrebbero imbavagliare la libertà di stampa.

Il bagaglio non è distante, lontano, magari confinato dall'altra parte del mondo, in paesi dove la libertà di parola è solo una frase vuota, un significante privo di significati.

Non è solo in Afganistan, il 180esimo Paese su 180, per libertà di stampa, complice la massiccia presenza dell'Isis. No: i bavagli sono molto più vicini e, forse, ugualmente feroci e stringenti.

Basta riportare alla memoria il recente caso capitato alla collega della Nuova Sardegna, la cronista Tiziana Simula. A cui, entrando nei locali della redazione, i militari hanno sequestrato il telefono personale e due computer — quello personale e quello professionale — perché accusata di rivelazione del segreto d'ufficio, per un articolo pubblicato il 24 marzo 2018, riguardante un esposto presentato contro l'ex procuratore di Tempio, Domenico Fiordalisi, nell'ambito di una vicenda su un'asta giudiziaria sulla quale indagava la Procura di Roma.

In quel caso, primo nella storia della nostra Sardegna, la Federazione nazionale della stampa, Unione Cronisti Sardi, Assostampa e Ordine dei giornalisti della Sardegna e del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, parlarono di "attacco al segreto professionale".

Fernando Di Cristofaro

(Unioneonline)

LA VICENDA DEI COLLEGHI DELLA NUOVA SARDEGNA:

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