L'allarme è partito la scorsa settimana, dopo le rivelazioni delle testate The Guardian e New York Times, ma il tema della vulnerabilità dei social network e della volatilità dei dati personali che riguardano milioni e milioni di utenti non è certo storia nuova.

Ad accendere i riflettori sulla questione è la vicenda che vede coinvolta la società britannica di marketing online Cambridge Analytica, accusata di aver usato scorrettamente un'enorme quantità di dati ricavati da social network come Facebook, ad esempio durante la campagna elettorale americana del 2016 che ha portato Donald Trump alla Casa Bianca o durante il referendum per la Brexit che ha portato alla clamorosa vittoria dei "leave".

METTI UN LIKE E TI DIRÓ CHI SEI

Per capire l'entità della bolla digitale che sta facendo tremare i vertici di Facebook e di altri colossi dei network bisogna fare un passo indietro, e precisamente a 5 anni fa, quando un miliardario americano di nome Robert Mercer, esperto di informatica con un passato in IBM, crea a Londra la società Cambridge Analytica cavalcando l'onda del marketing profiling, ovvero l'analisi del comportamento dei consumatori a scopi commerciali, quello, per intenderci, che quando cerchiamo un dato prodotto sul web fa sì che ci appaiano pubblicità magicamente in linea con quanto abbiamo appena visitato. Pregi e difetti del web, dove tutto è istantaneo e a portata di mano, col rischio, però, di essere senza controllo. Perlomeno il nostro controllo.

CAMBRIDGE ANALYTICA E IL TESORO DEI "BIG DATA"

I nostri dati diventano così un patrimonio informatico molto succoso, e non solo a livello commerciale, se è vero che dalla nostra profilazione si traggono indicazioni sui nostri gusti, interessi, passioni e anche sulle nostre inclinazioni politiche e i nostri dati strettamente personali. Cambridge Analytica l'ha capito forse meglio di altri, e, secondo le recenti accuse, ha sfruttato questo "tesoretto" di informazioni mettendolo al servizio della politica, in particolare dell'entourage repubblicano di Trump e del regista della sua campagna elettorale Steve Bannon, guarda caso legato in affari a Robert Mercer.

E qui entra il gioco il gigante Facebook, una miniera d'oro di dati personali di utenti di ogni angolo del pianeta. A partire dai nostri like, dai commenti e dalle informazioni contenute nelle nostre pagine social, Cambridge Analytica li elabora attraverso modelli matematici e algoritmi informatici e "scheda" noi ignari internauti e fruitori di social.

KOSINSKI E KOGAN, I DUE "CERVELLONI" ALLE ORIGINI DEL CASO

Per arrivare a tutto questo sono state indispensabili le ricerche dei due esperti di big data Michael Kosinski e Aleksandr Kogan, entrambi studiosi di Cambridge con il pallino del targeting (schedatura) comportamentale degli internauti, impegnati da anni nello sviluppo di app che riescano a inquadrare così bene i profili degli utenti social da prevederne scelte e gusti, e perfino emozioni. Una sorta di Grande Fratello che arriva a conoscerci meglio di noi stessi, semplicemente passando attraverso i nostri like.

CHE C'ENTRA FACEBOOK

La società di Mark Zuckerberg entra in gioco nel 2013, quando il brillante Aleksandr Kogan crea l'app "thisisyourdigitallife" (questa è la tua vita digitale), che raccoglie e archivia le tracce lasciate dalle nostre attività digitali per elaborarne profili a fini commerciali. All'epoca aderiscono volontariamente 270mila iscritti a Facebook, scaricando l'app e mettendo consapevolmente a disposizione le proprie informazioni personali, senza sapere, però, che oltre ai propri dati la società avrebbe raccolto anche quelli delle reti di contatti e amicizie. Risultato? Secondo Guardian e New York Times un bottino di 50 milioni di profili social, poi condiviso con la società Cambridge Analytica, in violazione delle norme sulla condivisione con terzi dei dati raccolti da Facebook.

I COLOSSI SOCIAL: VITTIME O COMPLICI?

Facebook sapeva da tempo di questa violazione ma ha rotto i rapporti con Cambridge Analytica solo una settimana fa, poco prima che le due testate giornalistiche sopra citate facessero scoppiare il caso, grazie alle rivelazioni dell'ex dipendente della società britannica Christopher Wylie, il giovane informatico che rischia di diventare il nuovo Julian Assange o Edward Snowden della bolla social e che inseguito dalla stampa internazionale si è limitato a commentare: "Abbiamo rotto Facebook".

UN MONDO SENZA FACEBOOK?

E si arriva all'oggi e alla tensione che circonda la sede Facebook di Menlo Park e naturalmente il suo creatore Mark Zuckerberg, che mentre rifiuta di presentarsi ai deputati britannici della commissione cultura, digitale e media che analizzano il caso Cambridge Analytica, si limita al laconico mea culpa: "Abbiamo la responsabilità di proteggere le vostre informazioni. Se non ci riusciamo, non vi meritiamo".

Si vedrà solo col tempo se gli utenti continueranno a dargli credito, per ora c'è da notare la reazione meno tenera del mondo della finanza, che in pochi giorni ha presentato a Facebook un conto amaro, con la perdita di quasi un quarto del valore dei titoli e circa 100 miliardi di dollari di capitalizzazione andati in fumo. Tutto questo forse non porterà al tracollo di un sistema diventato per certi versi irreversibile, quello dei social network, ma potrebbe servire come spunto di riflessione sulla nostra vulnerabilità in rete e sulla necessità di maggiori regole e tutele.

E forse aiuterà la stampa tradizionale a riprendere il ruolo centrale nella diffusione delle notizie, contro fake news e informazione "fai da te".

"Chi usa Facebook deve sapere che, come tutte le imprese private, ha un fine evidente: quello di fare soldi", ha commentato il presidente di Fnsi Beppe Giulietti, che proprio stasera sarà ospite della trasmissione di Videolina Monitor, insieme al presidente dell’Authority per la privacy Antonello Soro.

Barbara Miccolupi

(Unioneonline)

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