Jan Kuciak potrebbe essere morto per qualcosa che non aveva ancora finito di scrivere.

Il giornalista slovacco, ucciso una settimana fa a 27 anni nella sua casa a Velka Maca assieme alla fidanzata Martina Kusnirova, coetanea, da tempo era completamente assorbito dal lavoro su un'inchiesta che vedeva protagonisti Antonino e Sebastiano Vadalà, e il cugino Pietro Catroppa, calabresi, tutti e tre arrestati assieme ad altri quattro italiani per l'omicidio.

Il reporter li aveva accusati di aver gestito milioni di euro di fondi comunitari (cosa per cui la Commissione europea ha chiesto chiarimenti a Bratislava) e di avere rapporti con i piani alti della politica slovacca.

In tanti conoscono i Vadalà e Catroppa. Non facevano nulla per non farsi notare, girando in Ferrari e Lamborghini a Trebisov, una delle zone più povere della Slovacchia.

Le loro società, sempre in cima nella lista dei progetti da presentare al governo, erano finite nei dossier di Kuciak: quei punteggi stellari erano la prova di come venivano utilizzati capitali mafiosi, investiti dagli imprenditori con l'aiuto di politici compiacenti.

La polizia, denunciano i media, ha sempre chiuso un occhio per quei punteggi stellari, ed è per questa omertà che in un Paese in cui non esiste il reato di associazione mafiosa, famiglie calabresi vicine alla 'ndrina di Bova Marina sono riuscite a partire a impossessarsi del business dell'agricoltura, delle armi, della droga, della prostituzione e a fare della Slovacchia, ma anche di altri Paesi dell'Est il paradiso delle attività illecite a partire dalla caduta del muro di Berlino.

A sfilare, nelle scorse ore per le strade di Bratislava, c'erano anche tricolori con su la faccia del premier Robert Fico e la scritta: "Fico Al Capone".

(Unioneonline/D)

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