La tragedia della Moby Prince "non fu causata dalla nebbia".

È questa una delle principali risultanze dell'inchiesta condotta dalla Commissione del Senato sulla drammatica collisione - avvenuta nella rada di Livorno il 10 aprile 1991 - fra il traghetto passeggeri diretto a Olbia e la petroliera Agip Abruzzo, costata la vita a 140 persone, 26 delle quali residenti in Sardegna.

"LA NEBBIA NON C'ERA" - I risultati delle indagini parlamentari sono stati diffusi oggi, dopo 2 anni di lavoro, dal presidente della stessa commissione, Silvio Lai.

Che ha smontato, tessera per tessera, il "mosaico" della verità finora riconosciuta, anche dalle sentenze dei processi che seguirono l'incidente, che sfociarono nella generale assoluzione degli imputati.

A cominciare dal ruolo giocato dalla nebbia, che avrebbe impedito alla plancia della Moby di vedere l'Abruzzo. Invece, spiega Lai, "tutte le testimonianze concordano: quel giorno, prima della collisione, nella rada di nebbia non ce n'era. Dopo, con lo sprigionarsi del fumo dell'incendio, sì. Ma prima la nebbia non risulta in alcuna versione raccolta".

Silvio Lai
Silvio Lai
Silvio Lai

I SOCCORSI - Quanto ai soccorsi, scattati un'ora dopo la collisione, secondo la Commissione, una volta individuata la Moby Prince in fiamme, "si è rinunciato a spegnere il fuoco" e dunque "a salvare le persone che probabilmente a bordo erano ancora vive".

Anche perché è "scientificamente impossibile", ha detto Lai, citando il parere di esperti, che tutte le vittime siano morte "nel giro di mezzora", come si è sempre pensato sino a oggi.

Anzi, ha spiegato Lai, è verosimile che alcuni passeggeri restarono, a incendio esploso, in zone di relativa sicurezza "molto a lungo", in attesa di soccorsi che non sarebbero mai arrivati.

"INDAGINI LACUNOSE" - Ma sono molte le ombre riscontrate dalla Commissione: la posizione della petroliera, che era posizionata in una zona caratterizzata da "divieto di ancoraggio"; le "indagini sommarie" della Capitaneria; i "tentativi di manomissione"; e la "lacunosa indagine medico-legale finalizzata solo al riconoscimento delle vittime e non all'accertamento delle cause della morte".

Ancora, "riteniamo di poter affermare che sia intervenuto un disturbo della navigazione per il Moby Prince", ha spiegato il senatore del Pd, che si è anche detto, assieme ai colleghi, "colpito" per "l'accordo assicurativo dopo soli due mesi dall'evento tra gli armatori delle due navi".

"UNA FERITA APERTA" - Insomma, fare luce su quanto accaduto quella sera maledetta si conferma, come lo ha chiamato il presidente del Senato Pietro Grasso nel suo intervento introduttivo, "un percorso tortuoso", caratterizzato da "coperture e omissioni".

Per questo la vicenda, come ha detto il premier Paolo Gentiloni, rimane per il nostro Paese una "ferita ancora aperta".

Il dossier redatto dalla commissione d'inchiesta, però, potrebbe aprire nuovi scenari, per arrivare a fare finalmente giustizia.

I famigliari delle vittime chiedono infatti la riapertura del processo.

Se lo augura anche Lai, che, annunciando l'invio delle carte dell'inchiesta alla Procura della Repubblica, cita Aldo Moro: "La verità ci aiuta ad essere coraggiosi. E speriamo che questo lavoro aiuti tutti a essere più coraggiosi".

(Unioneonline/l.f.)
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