Cinque anni di reclusione per peculato aggravato: il pm Marco Cocco ha chiesto la condanna per Francesca Barracciu, ex consigliera regionale europarlamentare del Pd, nel processo sui fondi ai gruppi in via di conclusione in tribunale a Cagliari.

L’imputata è chiamata a rispondere di spese non giustificate per circa 81mila euro: 78mila ricevuti tra il 2004 e il 2014 (tredicesima e quattordicesima legislatura), altri 3.600 relativi all'assegno ottenuto dalla società “Evolvere” nella quale l'imputata aveva rivestito alcune cariche (sino al 2004).

L'azienda nel 2009 avrebbe organizzato convegni e incontri del Pd di cui però gli investigatori non avevano trovato traccia.

Barracciu era stata rinviata a giudizio nell'ottobre 2015, ma l'indagine nei suoi confronti era venuta alla luce due anni prima quando aveva ricevuto un invito a comparire per spiegare quale uso avesse fatto di 33mila euro di fondi ai gruppi (la cifra allora contestatale).

Lei aveva sostenuto di aver acquistato del carburante mentre da consigliera regionale andava in giro per la Sardegna "per far conoscere la nostra attività".

Ma gli investigatori avevano scoperto che in numerose occasioni si trovava in luoghi diversi da quelli indicati al pm. Poi la contestazione era salita a 81mila euro.

Il pm ha ricordato le "tre memorie difensive" e le "dichiarazioni spontanee" presentate e rese dall’ex consigliera. L’imputata si è "difesa senza pressioni né alla presenza di un plotone di esecuzione che la spingeva, parole non mie, a comportarsi in quel modo. Tutto è stato fatto secondo le scelte sue e dei suoi avvocati concordati con la Procura", ha spiegato il magistrato inquirente per rispondere a critiche arrivate nel corso dei mesi dalla difesa sul metodo di conduzione dell’indagine.

"Proprio lei aveva capito esattamente qual era il tema, il problema. Nessuna zona d’ombra. Aveva percepito quei denari: che destinazione aveva impartito alle risorse? Questo è il tema dell’imputazione. Proposto subito, nel settembre 2013.

Ancora oggi attendiamo una sua risposta.

Inizialmente aveva sostenuto che i 33mila euro, prima somma contestata, fosse il rimborso chilometrico per le iniziative svolte in Sardegna nell’interesse del gruppo. Escludeva senza incertezze di aver ottenuto altri fondi.

Nel secondo interrogatorio aveva confermato quelle dichiarazioni, ma nella parte finale della contestazione erano stati aggiunti altri 44 mila euro come ulteriore contestazione

Lei aveva detto di non saper rispondere e di non ricordare altre somme. A oggi manca qualunque spiegazione sul loro utilizzo. Ma scopriamo ora, dalla memoria difensiva, che quelle giustificazioni sull’uso dei 33mila euro sono puramente virtuali.

Allora, per decidere se ci sia o no responsabilità, mettiamo in relazione l’effettiva percezione del denaro e la virtualità delle giustificazioni. La virtualità "è un tema sovversivo rispetto alla linea difensiva precedenti. Non era stato detto alla Procura, che in quel caso non sarebbe andato a cercare le ombre cinesi", cioè i riscontri, "e Barracciu non avrebbe avuto bisogno di riservarsi la possibilità di depositare pezze giustificative".

L’imputata "ha atteso 3 anni, 8 mesi e una settimana dall’interrogatorio del 14 marzo 2014 per dire che era tutto virtuale. Intanto è stata chius al’inchiesta, si è tenuta l’udienza preliminare, è arrivato il rinvio a giudizio, si è svolto il dibattimento".

Ma la versione sulla "effettività della giustificazione non è attendibile. A contestazioni specifiche, per 15 volte l’imputata si è riservata di rispondere. Lo fa oggi. Nel secondo interrogatorio, marzo 2014, i chilometri contenuti nella memoria erano 65 mila: applicando le tabelle Aci di allora si arrivava a una somma pari a 31 euro. Più bassa comunque della contestazione. Come mai? Parlarono di un errore, forse, nell’applicazione della tabella. Dunque ritenevano reali quelle giustificazioni. Non virtuali, come dicono oggi. Ma anche questa tesi è inattendibile e conferma quel che già si poteva comprendere: erano giustificazioni costruite a tavolino. Non perché si volessero virtuali ma perché si volevano proporre come effettive".

Dunque, la giustificazione sull’uso dei 33 mila euro "è stata smentita dalla stessa imputata".

Sulla seconda invece, i 44mila, "la giustificazione proprio non c’è". Allora: "L’appropriazione del denaro, costitutiva del peculato, è provata o no? Ci sono decisioni già assunte. La Cassazione ha detto che la giustificazione è precondizione di liceità; che le spese senza documentazione idonea costituiscono il peculato".

Infine, sulla fatture presentata dalla società Evolvere da 3.600 euro: "Barracciu aveva detto di non avere alcuna partecipazione nella società; poi le era stato mostrato un documento di senso contrario e lei aveva replicato di non ricordare, poi di aver lasciato il suo ruolo e di non ricordare di aver partecipato a eventi" per i quali era stata pagata quella somma. "Ancora attendiamo lo scioglimento della sua riserva". Ed ecco quindi la richiesta di "condanna", con le attenuanti.

Ma l’avvocato Franco Luigi Satta, in oltre un’ora di discussione, ha ribattuto spiegando che "ancora non si capisce di cosa siamo imputati". Più che altro il pm ha fatto "il processo alla difesa" contestando anche che l’imputata volesse spiegare le proprie ragione "davanti ai giudici", come a dire che era ormai "troppo tardi".

Invece "non è così". Il peculato "non sussiste", la "prova deve essere concreta e qui non c’è".

Dunque l’ex consigliera regionale del Pd deve essere "assolta". Nell’arringa il legale ha provato a smontare la contestazione rivolta a una "cavia", così è stata definita l’imputata, "un porcellino d’India da sacrificare".

In realtà, secondo l’avvocato, nella prima memoria presentata da Barracciu e dagli allora difensori Giuseppe Macciotta e Carlo Federico Grosso, riguardante allora i 33mila euro di spese ritenute illecite, si parlava di "rimborsi forfetizzati per difetti" legati ai chilometri percorsi con l’auto per presenziare alle iniziative del gruppo del Partito democratico: una "prassi presente dal 2006" con i Ds poi mantenuta dal Pd.

"Nessuna erogazione al buio, tutto era preceduto da una nota con le indicazioni sulle distanze percorse". Era una "corresponsione dei rimborsi, la compensazione di spese già avvenute. E per difetto. Poi, se nel gruppo fossero rimaste altre risorse, sarebbe arrivato il conguaglio".

L’organizzazione del gruppo "era questa: nessuno scontrino, nessuna fattura. Solo la giustificazione dell’esborso, col principio dell’autocertificazione universalmente riconosciuto". In sostanza, "spendo e riottengo".

La giustificazione portata nel primo interrogatorio, nel 2014, "è virtuale", ha detto Satta replicando alle accuse del pm, "in quanto è difficile ricordare a distanza di anni ciò che si è fatto e dove si è stati. Le tabelle non ci sono più, ci si basa su ricordi, le locandine, gli appunti. Si può sbagliare, non si può garantire che i ricordi siano giusti. Ma Barracciu ha adempiuto al dovere di allegazione".

Nella seconda parte di contestazione, i 44mila euro, "neanche è arrivato l’invito a rendere interrogatorio".

Il peculato "non c’è, siamo lontani mille miglia" da questa ipotesi. E l’assegno da 3mila euro girato alla società Evolvere? "Come si può dire che Barracciu disponeva del denaro pubblico per darlo alla società? Su quali presupposti? Non sono state contemplate le spese della segreteria: le riunione terminavano a notte inoltrata ed i servizi erano forniti da Evolvere. Che si faceva pagare".

Repliche e sentenza il 5 dicembre.

© Riproduzione riservata