Tutti contro tutti. Come in un qualsiasi palazzo, i condòmini della politica sarda se le suonano di santa ragione. I sindaci di Barbagia litigano con la Protezione civile sui ritardi del piano neve. Per i troppi cantieri fantasma un assessore regionale alza la voce contro l'Anas, che ha smesso di incassare in silenzio. E il Comune di Cagliari si scaglia contro la Regione per la villa dimenticata a Tuvixeddu, con replica e controreplica.

Giusto tre-esempi-tre nel bollettino di guerra dell'ultima settimana. A presidiare trincee opposte ci sono servitori dello Stato stipendiati per parlare la stessa lingua ma che, al contrario, alimentano un'intollerabile babele. Il risultato è una pubblica amministrazione che fatica a star dietro al quotidiano, figuriamoci a programmare. La colpa era e resta dei politici, che non riescono a rottamare la macchina.

In una Repubblica fondata sulla burocrazia la Sardegna - nonostante statuti e chiacchiere - non fa eccezione. Anzi. Per numero di scrivanie non siamo secondi a nessuno. E un semplice timbro serve anche a giustificare l'esistenza in vita di un impiegato, di un funzionario e di un dirigente, via via a scalare la montagna sacra. Facile capire perché il gasolio per le scuole non venga ordinato d'estate, ma alla vigilia dell'accensione dei termosifoni. O perché nella terra dei venti laghi la pioggia benedetta continui a finire in mare.

Ci aveva provato Matteo Renzi, il sindaco che si fece premier senza prendere un voto, a dare una spallata. Ma sbagliò il modo (il referendum), il fine (il consenso personale) e i mezzi (la sovraesposizione in giornali e tv). Peccato, per un attimo ci eravamo illusi potesse essere l'inizio della rivincita. "Viviamo in un Paese in cui certamente la burocrazia è il principale problema": parole e musica firmate Francesco Pigliaru venerdì al Tg di Videolina. Ci creda davvero, presidente. Batta lei il primo colpo. La babele che la circonda non merita di restare in piedi.
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