Al volante per le strade di Madrid la sera di una domenica qualunque, sino a quel momento. Diego Lopez si è lasciato alle spalle il centro e guida spedito verso la casa dove si è trasferito a luglio con la moglie e gli altri due figli per stare vicino al primogenito Thiago, che ha scelto di finire il liceo in Spagna e giocare nella Primavera del Getafe.

"L'idea era di stare un mese, una famiglia di amici si sarebbe poi occupata di lui. Ma non ce l'abbiamo fatta a lasciarlo solo e siamo rimasti". Sono tutti a bordo quando arriva la chiamata più attesa.

La suoneria dell'iPhone si perde tra la musica dell'autoradio, il nome che spunta sul display, invece, si prende la scena: Carlo Catte , l'amministratore delegato del Cagliari, il "suo" Cagliari, che ha appena perso col Genoa la quarta partita di fila, sta per esonerare l'allenatore Rastelli e cerca un sostituto.

"Il cuore inizia a battere forte, mi passano per la testa tanti pensieri. Mi volto verso Alejandra, abbiamo entrambi gli occhi spalancati. Tiro un sospiro e finalmente rispondo".

Ciao Carlo . Eccolo. Ciao Diego, come stai? Il presidente e il direttore vorrebbero parlarti. "Non gli do nemmeno il tempo di finire la frase: domani a mezzogiorno sono in Sardegna ". Il giorno dopo si sono incontrati, invece, a Milano. Dettagli. È bastato uno sguardo per trovare un accordo biennale e sancire il ritorno nell'Isola del tecnico uruguaiano che già aveva allenato la squadra rossoblù dal 2012 al 2014 dopo averci giocato per dodici stagioni sino a diventare uno dei capitani storici. Una bandiera.

Cagliari-Lopez tre anni dopo, che cosa c'è di diverso?

"Il presidente, la programmazione, lo stadio provvisorio ma anche quello che verrà. Il centro sportivo di Assemini è più completo, poi i due store. Tutte cose apparentemente piccole che hanno trasformato il Cagliari. In positivo".

Pensava che sarebbe risuccesso?

"Lo volevo, aspettavo questa chiamata".

Quanto e in cosa è cambiato?

"Non so se sono cambiato, sicuramente sono cresciuto e ho fatto tesoro delle esperienze, sia quelle positive che negative".

La visione del calcio è la stessa?

"Alla squadra ho detto: non sono venuto qui a insegnare calcio ma a portare la mia idea , e questa è rimasta tale. Anche se a Madrid ho studiato la mentalità spagnola. La velocità della palla fa la differenza, soprattutto quando hai giocatori con i piedi buoni. Perché se difendere bene è importane, guardare sempre la porta avversaria è fondamentale".

Detto da un ex difensore fa un certo effetto.

"Perché posso vedere le cose al contrario, da dove mi facevano male gli attaccanti".

L'impatto con Giulini?

"Già avevamo avuto altre occasioni per confrontarci. Vedo in lui una persona ambiziosa. Non si vuole fermare, vuole crescere continuamente. E questo mi piace".

Cellino è stato il primo a credere in lei, ultimamente, però, non è stato molto tenero nei suoi confronti. Perché?

"Questa domanda bisognerebbe farla a lui. Io non ho sentito nulla, in ogni caso qualsiasi cosa possa dire non cambia il rispetto e la gratitudine che ho nei suoi confronti per avermi dato la possibilità di giocare nel Cagliari e poterlo poi allenare".

Perché è finita la prima volta?

"Il primo anno è stato straordinario, chiudemmo undicesimi vincendo gare importanti. Nel secondo abbiamo avuto qualche difficoltà in più anche se la salvezza non è mai stata in discussione. Di sicuro, tutto quello che ho fatto era per il bene del Cagliari".

L'anno in B col Bologna?

"La situazione era critica dal punto di vista economico. Col direttore Fusco siamo riusciti comunque a creare un gruppo forte e a dicembre eravamo primi. Con la proprietà poi è cambiato anche il ds, è arrivato Corvino che in una fase difficile, non conoscendomi, non ha creduto in me e sono stato esonerato a due giornate dalla fine. Mi ha fatto male, ma non lo biasimo. Ha fatto la scelta che riteneva più giusta per il Bologna".

La parentesi Palermo?

"Breve ma intensa. Ringrazio Zamparini per l'opportunità. Ci credevo davvero. Ma a volte il lavoro non basta".

È stato difficile smettere mentalmente di essere un calciatore e diventare un allenatore?

"Tanto, quando però questo succede ti si apre un mondo".

Quando è successo?

"Una volta smesso, ho iniziato a fare il collaboratore di Pillosu nei Giovanissimi e lì ho capito che riuscivo a comunicare e trasmettere qualcosa, che poi è la cosa più importante nel nostro mestiere".

I suoi riferimenti?

"Ho sempre detto che all'inizio ho preso spunto da Giampaolo per la fase difensiva e da Allegri per quella offensiva, poi chiaramente ho sviluppato la mia idea. Pure Ventura mi ha lasciato tanto anche se con lui non giocavo".

Come è nata l'idea del 3-5-2?

"Per le caratteristiche dei giocatori, sin dal primo allenamento".

È la soluzione definitiva o l'obiettivo è quello di tornare al 4-3-1-2?

"Guardo al presente e lavorando in questo modo sono arrivati i risultati. E anche quando abbiamo perso, le prestazioni sono state costruttive, soprattutto a Torino, ma pure con la Lazio".

Che cosa le ha chiesto Giulini?

"Di trovare un equilibrio e dare un'identità alla squadra".

C'è stato un giocatore che l'ha sorpresa più degli altri?

"In generale ho trovato un gruppo sano, unito, che ha voglia di crescere e sacrificarsi".

La trasformazione di Faragò?

"La soluzione per lui più naturale non essendoci le condizioni per la difesa a quattro. Ha corsa, fisicità, e sgravato dai compiti difensivi può essere devastante".

Joao Pedro è sembrato, invece, il più sacrificato.

"Io dico di no. Da lui non mi aspetto certo la quantità di Barella, Dessena o Ionita, è un altro tipo di mezzala e quando ha la palla dà quello che gli altri non riescono a fare. E può giocare anche dietro la punta. Abbiamo parlato e lui sa di poter dare tanto alla squadra".

Come ha ritrovato Sau?

"Il solito lottatore, non si risparmia mai. Col Verona ha giocato una partita straordinaria, l'ho tolto perché era stremato. Gli manca solo il gol, ma presto segnerà".

Giovedì a Nuoro si è rivisto Van der Wiel.

"Si è rivista la gamba, anche perché la qualità non si discute".

E Melchiorri ha segnato un gol dopo un anno.

"Siamo tutti contenti per lui. Eravamo preoccupati per le condizioni del campo, il recupero deve essere graduale. Tornerà a essere presto un giocatore importante per il Cagliari".

C'è in rosa un difensore nel quale si rispecchia?

"Forse Pisacane, per caratteristiche tecniche ma anche caratteriali".

Romagna ricorda il primo Astori?

"Ha talento e sta facendo il suo percorso di crescita. Avrà i momenti di difficoltà e dovrà imparare ad affrontare anche quelli. Ma ha voglia di crescere e la testa giusta per farlo".

Da quando ha smesso di giocare, nessuno ha più preso la 6: che effetto le ha fatto rivederla esposta nel museo?

"Felicità e orgoglio. Anche perché in quel museo c'è la maglia di Gigi Riva ed essere accanto lui è la cosa più bella".

In tutto 344 presenze in campo: si sente una bandiera?

"Questo lo possono dire solo i tifosi. Io dico solo che ho sempre dato il cuore per questa maglia".

Se chiude gli occhi, qual è la prima partita che le viene in mente?

"Col Napoli nel 2008: 2-1, gol di Conti al 94'".

La più triste?

"L'ultima, contro il Bologna al Sant'Elia. Fui sostituito nell'intervallo, sapevo che sarebbe finita lì".

Cagliari per lei.

"Uno decide di far nascere i figli nella propria terra e il fatto che con mia moglie abbiamo deciso di far nascere i nostri tre figli qua dice tutto".

Qualche anno fa pubblicò sui social una foto con il mate sulla sabbia e sullo sfondo la Sella del Diavolo: si sente ancora uruguaiano o più cagliaritano?

"Quella foto parla. Uruguaiano sono e lo sarò sempre. Ormai, però, mi sento cagliaritano, ragiono da cagliaritano. Qui è la mia vita. All'arrivo in aeroporto un tifoso mi ha detto: bentornato a Cagliari mister. Gli ho risposto: grazie, ma io non sono mai andato via".

La squadra più bella in cui ha giocato?

"Stagione 2007/2008, quella salvezza è il nostro scudetto".

Il compagno più forte?

"Gianfranco Zola".

Il più simpatico?

"Abeijon".

Quello di cui non avrebbe potuto fare a meno?

"Daniele Conti".

L'amicizia nel calcio esiste?

"Sì, io infatti alleno un amico, Andrea Cossu".

Che differenza c'è tra un giocatore duro e uno cattivo?

"È sottile, basta lasciare la gamba e vai dall'altra parte".

Lopez era più duro o più cattivo?

"Io non facevo male ma mi rendo conto che ero fastidioso. A volte penso: ma ero davvero io?".

Con Valtolina e Felipe Melo ve le siete "date" anche fuori dal campo. Li ha più rivisti?

"Valtolina sì, in un corso a Coverciano. Ci siamo guardati e messi a ridere. Con Melo no, mai".

Se dovesse incontrarlo?

"Forse lo ignorerei. Dipende poi da come si pone lui".

Quanto conta il carattere in una squadra?

"È decisivo".

Questo Cagliari ha carattere?

"Se non l'avesse, non avrebbe vinto col Verona".

Cosa si aspetta dai più esperti?

"Stanno già dando tanto, in campo e fuori. A cominciare da Dessena, è il nostro capitano ed è un esempio positivo per tutti".

Il rapporto tra prima squadra e settore giovanile?

"Fondamentale. Col direttore Beretta ci siamo confrontati più di una volta, così pure col mister Canzi. Non ci può essere distanza, la prima squadra e il settore giovanile devono essere un'unica cosa".

Il suo con i tifosi?

"C'è rispetto e stima reciproca".

Che cosa ha pensato al gol di Pavoletti contro il Benevento?

"Pensato poco, ho iniziato a correre, sono persino scivolato. Vedere i ragazzi esultare mentre lo stadio esplodeva ti lascia qualcosa dentro. Peccato per chi era già andato via. Per fortuna un buon 98% è rimasto e l'ha vissuto con noi".

E al rigore sbagliato col Verona?

"Deluso perché ti aspetti il gol, ma ci sta".

Chi sarà il prossimo rigorista?

"Lo decideranno sempre i ragazzi in campo, ma sono certo che miglioreremo anche dal dischetto".

Udine crocevia rossoblù, alla ripresa del campionato?

"Lì vogliamo cercare la continuità. Dobbiamo avere la mentalità per far male a qualsiasi squadra, ovunque".

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