Sono 9 le persone arrestate dagli uomini della Guardia di Finanza su richiesta della Procura di Catania con l'accusa di far parte di un'organizzazione internazionale che si occupava di riciclare in Italia e in Europa il gasolio rubato in Libia, nella raffineria a Zawyia della National Oil Corporation, che si trova a 40 chilometri a ovest di Tripoli.

Si tratta di cittadini libici, maltesi e italiani (sei sono finiti in carcere e tre agli arresti domiciliari); altri tre cittadini libici sono invece tuttora ricercati.

Tra gli arrestati figura anche Marco Porta, amministratore delegato della società MaxCom Bunker, attiva nel commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi e di bunkeraggio, ossia al rifornimento, in ambito portuale, di carburanti o di combustibili alle navi.

Nell'affare sarebbero coinvolti anche alcuni esponenti delle milizie libiche, guidate da Ben Khalifa, recentemente arrestato dalle autorità del Paese nordafricano, fuggito dal carcere nel 2011 dopo la caduta di Gheddafi. Khalifa sarebbe stato a capo di uomini di stanza nella zona costiera al confine con la Tunisia.

All'associazione criminale è stata contestata anche l'aggravante mafiosa, per la presenza di Nicola Orazio Romeo - anche lui tra i fermati - ritenuto vicino alla famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano.

Il carburante veniva trasportato via mare in Sicilia attraverso l'uso di navi fantasma e successivamente immesso nel mercato italiano ed europeo, soprattutto in Francia e Spagna, a un prezzo simile ai prodotti ufficiali, pur essendo di qualità inferiore.

In un anno di indagini, i militari del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Catania sono riusciti a documentare oltre 30 viaggi nei quali sono stati importati dalla Libia oltre 80mila tonnellate di gasolio per un valore all'acquisto di circa 30 milioni di euro.

L'articolato sistema di frode ha comportato anche un mancato incasso per il bilancio nazionale e quello comunitario di imposte (Iva) per un ammontare di oltre 11 milioni di euro.

Gli ideatori del traffico, per non farsi scoprire, avevano prima costruito un sistema di finte società a più livelli, poi erano riusciti a ottenere false documentazioni libiche grazie alla diffusa corruzione nel Paese.

(Redazione Online/m.c.)
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