"Corruzione sistematica", fatti di "estrema gravità", ma non mafia.

Queste in sintesi le motivazioni della sentenza del 20 luglio scorso nel processo al cosiddetto "mondo di mezzo".

È impossibile, scrivono i giudici, "attribuire mafiosità all'associazione volta al conseguimento illecito di appalti pubblici mediante intese corruttive: ai fini del reato è necessario l'impiego del metodo mafioso, che non si configura quando il risultato illecito sia conseguito con il ricorso sistematico alla corruzione, anche se inserita nel contesto di cordate politico-affaristiche ed anche ove queste si rivelino pericolose perché capaci di infiltrazioni stabili nella sfera politico-economica".

Manca, per configurare il 416 bis, "l'adozione del metodo mafioso, inteso come esercizio della forza dell'intimidazione".

Nulla a che vedere neanche con la banda della Magliana, sottolineano i giudici, che poi si soffermano sugli appalti pubblici, le scelte politiche e amministrative, che il gruppo di Buzzi ha avuto la "capacità di inquinare durevolmente e pesantemente, con metodi corruttivi diffusi".

Cosa che "dimostra la pericolosità dell'associazione e dei singoli partecipi".

I magistrati romani con la sentenza dello scorso luglio hanno condannato 41 imputati a quasi 300 anni di carcere complessivi: 29 anni per Massimo Carminati, l'ex banda della Magliana, 19 per Salvatore Buzzi, il dominus delle cooperative che si accaparravano gran parte degli appalti.

Assieme a loro sono stati condannati vari esponenti politici, di centrodestra e di centrosinistra, ed ex dirigenti aziende municipalizzate.

(Redazione Online/L)

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