Una distesa di pale eoliche in mezzo alle sterpaglie e sullo sfondo il profilo dei capannoni industriali di Macchiareddu. Guardando oltre le sbarre i circa 610 detenuti di Uta non hanno di fronte uno spettacolo indimenticabile. Da qui Cagliari è lontana, molto più dei 15 chilometri indicati dalle mappe. Forse per certi aspetti è meglio così, perché quando le loro celle stavano a Buoncammino potevano vedere il mare azzurro del Golfo degli Angeli e l'idea di non poter uscire era ancora più dura da accettare. Ma la difficoltà nel raggiungere il penitenziario resta il problema principale per i detenuti, i loro familiari, il personale.

LA VISITA - Sono le 10,30 di ieri quando i cancelli del moderno penitenziario, il più grande della Sardegna, si aprono per far entrare la delegazione dei Radicali italiani guidata dal segretario di Cagliari Carlo Loi, il senatore Luciano Uras e il sindaco della Città metropolitana Massimo Zedda. Nonostante la richiesta formulata la sera prima, i giornalisti restano fuori. Per i tempi del Dap, rimasti alla prima Repubblica, non è tecnicamente possibile autorizzare l'ingresso. Ad accogliere gli osservatori è il direttore pro tempore Marco Porcu. Un summit nel suo ufficio e poi il tour ha inizio. Nel frattempo al cancello principale c'è la fila dei parenti dei reclusi in attesa di colloquio. Uno è in ritardo e maledice il mondo insieme ai mezzi pubblici. Ha una busta in cui porta indumenti puliti.

ZEDDA E IL CAR SHARING - All'uscita, un'ora e mezzo dopo, Zedda fa il punto della situazione: "Il carcere di Uta è certamente più moderno e funzionale rispetto a Buoncammino - sono le sue parole -, ma esiste un problema trasporti, soprattutto per i detenuti in semilibertà che devono rientrare la sera e per i volontari". Così annuncia la sua proposta: "Siamo disponibili a fornire alcune delle biciclette che erano in dotazione alla Provincia per gli spostamenti interni - spiega -, ma anche a creare una stazione di car sharing, al servizio degli ospiti che hanno l'autorizzazione a uscire e del personale che lavora nella struttura. Sono idee su cui dovremo confrontarci con la Regione, ma che riteniamo possano aiutare a rendere il carcere più vicino alla città e ai paesi dell'hinterland".

"SERVONO FONDI" - "Una visita istruttiva", la definisce invece l'onorevole Uras. "A Uta - spiega - c'è un evidente problema di sovraffollamento con un centinaio di detenuti in più di quanto previsto. Questo peggiora non solo il disagio di chi sta scontando la pena ma anche le condizioni di lavoro degli agenti e degli operatori. La struttura è moderna e ben curata, anche se non finita, ma ha il difetto enorme di essere molto lontana dalla città. Il 40% degli ospiti è qui per reati connessi agli stupefacenti, tanti sono extracomunitari, ma molti di loro per fortuna sono impegnati in attività di lavoro o di studio. In questo senso c'è un impegno notevole che potrebbe però dare più risultati se si consentisse a tutti i detenuti di entrare in percorsi di reinserimento: per fare questo servono però più fondi e farò una battaglia perché da questa legge di stabilità siano individuati finanziamenti adeguati".

DISAGIO MENTALE - Durante la visita è stato affrontato anche il tema della sofferenza mentale dietro le sbarre: il 30% dei reclusi a Uta ha infatti bisogno di cure psichiatriche e non a caso gli "incidenti" - a volte gravi - sono frequenti. "Questo - spiega Uras - riguarda il tema di come è stata gestita la chiusura degli ospedali psichiatrici che erano dei lager: un fronte in cui c'è ancora molto da fare". E anche qui Zedda ha lanciato la sua proposta: "Studieremo la possibilità di inserire gli ospiti del carcere nei progetti Plus per alleviare il disagio mentale".

"C'È UMANITÀ" - Chiudono i Radicali italiani, che hanno organizzato la visita: "Complessivamente è una buona struttura - spiega Carlo Loi -, dove ci sono ampi spazi anche se pochi sono dedicati all'alternativa alla cella. Esistono sale studio e biblioteca, diversi laboratori, dalla piccola falegnameria alla lavanderia, ma pochi luoghi per la socialità. Una parola meritano però il direttore e tutti i suoi collaboratori: abbiamo notato grande umanità e sensibilità verso la popolazione detenuta".

Massimo Ledda
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