No, grazie, le taglie no. Sanno di farwest, di giustizia fai-da-te. Negano il senso dello Stato, conquistato anche con il sangue da chi ci ha preceduto.

Sì, grazie, le denunce sì. Sono necessarie in una terra che ha già immolato, quest'estate, diecimila ettari sull'altare del fuoco.

Una terra ferita dove, per ora, è stato (forse) assicurato alla Giustizia solo un non meglio identificato imbecille che, in un terreno agricolo, bruciava rifiuti il 31 luglio, scatenando l'inferno tra Arbus e Gonnosfanadiga. Gli contesteranno non il dolo ma la colpa.

E non sappiamo se chi legge provi conforto all'idea che la Regione abbia annunciato di costituirsi parte civile nell'eventuale processo.

Sconosciuti e impuniti gli assassini delle nostre campagne e dei nostri boschi, del bestiame dei nostri allevatori. Persone (?) senza scrupolo che uccidono con il fuoco consapevoli di farlo e che poi tornano sul luogo del delitto.

E nessuno vede, nessuno sente. Eppure questi vigliacchi vivono tra noi, protetti da una cortina di omertà che abbiamo già conosciuto, noi sardi, durante la lunga stagione dei sequestri di persona. Una lezione che non è servita o che non è bastata. No, nessun appello alla delazione. Semmai il desiderio di un moto d'orgoglio.

Diamo un volto e un nome a questi criminali. Scopriamo perché lo fanno. Affidiamoli a un giudice, sperando che possa infliggere loro la pena più severa di un ordinamento, il nostro, che dovrebbe contemplare l'ergastolo per chi uccide la terra con il fuoco.

Lo dobbiamo ai nostri figli e ai nostri nipoti, al loro futuro in questa Sardegna straordinaria. Lo dobbiamo alle migliaia di donne e di uomini che rischiano la vita per combattere il fuoco.

Sul sistema dell'antincendio in Sardegna, sui limiti della prevenzione (ricordando che tutti abbiamo responsabilità), si è detto e scritto molto, anche qui. Il fuoco si combatte con la cultura, partendo dai banchi di scuola. Ma anche isolando gli assassini. Sono lì fuori, pronti a colpire. E chi sa non può più tacere.
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