Ha lasciato la Sardegna giovanissimo per studiare e lavorare all'estero. E oggi, a nemmeno 30 anni, è uno degli astri nascenti dell'economia europea, settore management.

Lui è Matteo Concas, classe 1987. Originario di Quartu, fratello di Simone, alias Moses, vincitore di Italia's got talent 2016, dopo essersi iscritto all'Università di Cagliari ha scelto di aprire i suoi orizzonti formativi. Meta prescelta: la ESCP (Europe Business School), che lo ha portato a Torino, Londra e Parigi.

Con la laurea e la specializzazione sono arrivate le prime esperienze lavorative, in Jp Morgan prima e in Zaoui&Co poi.

Quindi, dopo una parentesi in Malesia, è sbarcato in Germania, chiamato a fare da general manager alla divisione Italia di N26, azienda che ha da poco lanciato l'avveniristico servizio di home banking interamente su smartphone.

Ora Matteo si divide tra Berlino e Milano. E dalla capitale tedesca racconta a L'Unione Sarda la sua carriera e le sue aspirazioni.

Senza rinunciare a dare preziosi consigli ai giovani che, come lui, hanno voglia e determinazione per costruirsi un futuro di successo.

Come lei, moltissimi giovani lasciano la Sardegna in cerca di orizzonti. L'Isola è condannata a essere una terra d'emigrazione?

"Non necessariamente. Ma sta ai giovani trasformarla in altro. Si può partire in cerca di qualcosa di meglio oppure si può restare per costruire qualcosa a casa. In entrambi i casi, però, il principio guida deve essere lo stesso: mai aspettarsi che qualcuno faccia le cose per te. Occorre smetterla di rassegnarsi e trovare il coraggio per lanciarsi. Basta con l'idea del posto fisso a tutti i costi, nella pubblica amministrazione o nelle aziende vecchio stile. Il futuro sono le start up. Spazio di crescita ce n'è tanto. Quello che manca, in Sardegna e in Italia, è lo spirito imprenditoriale".

Di chi è la responsabilità della percentuale di disoccupati più alta in Italia?

"La Sardegna risente in maniera particolare dei due problemi maggiori che affliggono il mondo del lavoro italiano. Primo: l'eccessiva burocrazia. Fare impresa in Italia significa scontrarsi con una miriade di leggi e leggine e con una tassazione altissima. Questo scoraggia le aziende a investire e, dunque, a creare posti di lavoro. Secondo: è purtroppo ancora radicata una certa cultura del "fare i furbi", del non seguire le regole, dell'evadere le tasse. Quindi, visto che non tutti pagano il dovuto, la tassazione è alle stelle. E anche questo, ovviamente, è un freno per gli investimenti".

Il primo provvedimento che dovrebbe prendere il governo per cambiare le cose?

"Prima bisognerebbe trovare un governo in grado di restare in carica 5 anni. Un altro problema tutto italiano è la mancanza di stabilità, che impedisce di cambiare le cose. Faccio un esempio profano: la Juventus sarebbe riuscita a vincere lo scudetto sei volte di seguito, cambiando ogni anno allenatore? Io non credo...".

E se trovassimo anche noi il nostro Allegri a Palazzo Chigi, quale sarebbe la priorità?

"Modificare il sistema scolastico. Le superiori, ma soprattuto le università sono troppo scollegate dal mondo del lavoro e imprenditoriale. Troppa teoria e poca pratica. Risultato: ci vogliono anni e anni prima che gli studenti possano iniziare la propria carriera professionale".

La priorità per chi governa in Sardegna, invece, qual è?

"Usare i fondi che arrivano in cassa per finanziare le start up e i progetti dei giovani imprenditori. La Sardegna può diventare il polo digitale italiano, anche perché abbiamo in casa alcuni tra i migliori talenti in campo informatico".

Pensa che il turismo resti la principale risorsa dell'Isola o vede altre potenzialità?

"Anche in questo caso occorre puntare su una "rivoluzione tecnologica". Il modello di riferimento deve essere la Spagna. Ibiza e le Baleari, così come il sud della Penisola iberica, riescono a promuoversi a livello internazionale attraverso le nuove tecnologie. Merito di una serie di start up che hanno sfornato app e altri prodotti di comunicazione estremamente innovativi. In questo modo tutti possono conoscere le bellezze spagnole in ogni parte del mondo, sia dal punto di vista del divertimento, che da quello paesaggistico. E, sempre online, possono organizzarsi il viaggio e trovare tutte le informazioni che cercano. Per viaggiare in Sardegna, invece, ci si basa ancora sul passaparola. Ho amici in tutta Europa che prima di partire mi chiedono informazioni, visto che hanno difficoltà a trovarle su internet".

Lei ha vissuto in Francia. Cosa pensa del neopresidente Macron?

"È un personaggio che può fare bene. È slegato dalla politica e proviene dal mondo del lavoro. Non solo: ha formato un team di veri professionisti nei diversi settori, affidando i ministeri non a esponenti di questo o quel paetito, ma a persone con esperienza specifica. Insomma, la sua elezione è una cosa positiva. Inoltre, è, come me, un convinto europeista".

Cosa pensa delle teorie complottistiche secondo cui, arrivando come lei dal mondo delle grandi banche, possa fare gli interessi delle lobby più che quello dei francesi?

"Le lobby esistono e, negli Stati Uniti soprattutto, influenzano la politica. Ma non credo sia il caso di Macron. Anzi, è una ventata di aria fresca, rispetto al vecchio schema clientelare e clientelistico".

Brexit: come se la caverà il Regno Unito senza Europa? E l’Europa? Ce la farà senza Regno Unito?

"La Brexit sarà un boomerang per il Regno Unito. Sin dall'età coloniale hanno creato un sistema aperto al mondo, perfetto per ospitare e far prosperare risorse umane e imprenditoriali e ora decidono di chiudersi e convertirsi al protezionismo? Alla fine ne pagheranno le conseguenze. E sarà chiaro quando banche e aziende inizieranno ad andarsene e la manodopera straniera, diffusissima, inizierà a scarseggiare".

E della Germania di Angela Merkel, cosa pensa?

"Resta un modello sotto tutti i punti di vista, economico e sociale, oltre che un Paese in grado di scommettere sui giovani e sul futuro. Qui a Berlino 15 anni fa non c'era nulla. Oggi invece...".

Un consiglio ai giovani sardi che si affacciano al mondo del lavoro. Cosa non deve assolutamente mancare nel loro curriculum?

"Innanzitutto l'inglese. Prima era un optional, ora è una necessità. Secondo: esperienze di lavoro. In Italia o all'estero non importa. L'importante è che si sperimenti cosa significa la vita in azienda, sul campo, a contatto con i veri professionisti. Altrimenti si rischia, dopo la laurea, di trovarsi spaesati in un mondo sconosciuto. E tutto diventa più difficile, per non dire impossibile".
© Riproduzione riservata