«Ci vorrà un po' per riprendermi, le mie notti sono ancora affollate di immagini». Una su tutte: in mezzo al mare un barcone stracarico di migranti che urlano e si sbracciano, dondolando pericolosamente. Lei è lì. In quel tratto del Mediterraneo, tra la Libia e l'Italia, diventato la rotta più battuta dai tanti disperati che cercano rifugio in Europa. Tiziana Cauli, cagliaritana di 38 anni, racconta i tre mesi sull'Aquarius di Medici senza frontiere, un bestione arancione di 77 metri. È la nave che salva i migranti. Una missione che l'ha molto provata, più delle altre fatte in Libano, come giornalista free lance, o in Ciad, sempre al seguito di Msf per assistere rifugiati e sfollati in fuga dalla violenza dei terroristi islamici di Boko Haram.

Novanta giorni a bordo dell'Aquarius per salvare chi sfida la morte in mare: quattromila vite in quest'ultima missione di Medici senza frontiere. «Non esserci vorrebbe dire farne morire tanti, donne, uomini e bambini. Far finta di non vedere e limitare i soccorsi non è sicuramente la risposta giusta».

Chi sono i migranti che salvate?

«Sono persone che stanno fuggendo dalla Libia, l'ultimo approdo per tutti. Ciascuno ha una sua storia: le loro tragedie iniziano nei paesi d'origine, continuano nel deserto, dove moltissimi muoiono, e finiscono in Libia, dove vengono schiavizzati e torturati. Il barcone è l'unica via di salvezza, molti all'Europa non ci pensavano proprio».

Dove inizia il suo viaggio con Msf?

«Da Catania, il 7 gennaio. La nave era appena rientrata da Augusta dove aveva fatto sbarcare 400 persone, un salvataggio difficile per le condizioni meteo».

Di cosa si è occupata?

«Il mio ruolo è quello di "manager della comunicazione": documento tutto quello che succede a bordo per i media. Ma facciamo tutto: turni di notte, preparazione e distribuzione del cibo, assistenza e pulizia».

Come entrate in azione?

«La maggior parte dei salvataggi comincia sempre con una chiamata del Centro di coordinamento marittimo dei soccorsi (Mrcc), che riceve una richiesta di aiuto o una segnalazione. Se l'Aquarius è la nave più vicina interveniamo noi, ma aspettiamo di ricevere l'ordine, così come l'indicazione del porto in cui far sbarcare i migranti».

Come avviene il salvataggio?

«Dalla nave partono i rhib, piccoli gommoni a motore con un gruppo di addetti al salvataggio, accompagnati da un medico e dal mediatore culturale, che ha il compito di calmare i migranti: agitandosi potrebbero cadere in acqua e morire anche per questo».

Quanto ci vuole per recuperarli tutti?

«Ricordo una serie consecutiva di salvataggi iniziata alle due di notte e conclusa alle tre del pomeriggio del giorno dopo. In uno di quei barconi c'erano due morti asfissiati, tra cui un quindicenne. A volte sono così stipati che muoiono soffocati o annegati nell'acqua che riempie il gommone».

Sui barconi ci sono anche gli scafisti?

«Da quel che ho visto, non è mai capitato di trovarli nelle barche soccorse, né che i profughi ce li indicassero. A guidare i gommoni erano sempre persone inesperte e chi gestisce questo business non rischia».

Intanto continuano le accuse alle Ong.

«Le navi delle Ong che salvano i migranti alleviano il carico di lavoro istituzionale, Guardia costiera, Marina militare, Frontex e altri mercantili. Com'è stato dimostrato, quando non ci sono soccorsi sufficienti i migranti muoiono: le Ong sono entrate in ballo proprio per questo, allo scopo di limitare la perdita di vite umane. Soccorrere queste persone nel Mediterraneo è un obbligo di legge».

Carla Raggio
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