"Non sono un eroe, non mi piace l'idea che un arresto cambi il valore del mio lavoro, chiedo di essere giudicato per quello". Queste le parole di Gabriele Del Grande nel corso di una conferenza nella sede della stampa estera a Roma.

Il giornalista e documentarista toscano, liberato ieri dopo 14 giorni di detenzione in un Cie turco, ribadisce: "Non mi hanno torto un capello ma ho subito una violenza istituzionale".

"NON ERO AL CONFINE" - "Una vera e propria sospensione dello stato di diritto: sono stato preso e chiuso in un centro di detenzione senza accuse, senza un motivo", spiega Del Grande. Che ribadisce: "Non avevo alcuna intenzione di andare in Siria e non ero al confine con la Siria quando mi hanno fermato, ero in un ristorante di un paese vicino al confine".

Il giornalista si trovava in Turchia per scrivere un libro sulla guerra siriana e la rinascita dello Stato Islamico: "Dovevo incontrare una serie di fonti, non stavo effettuando riprese perché si tratta di un libro: per scriverlo sono stato anche nel Kurdistan iracheno, in Svezia, Germania, Svizzera, Belgio, sempre per incontrare fonti siriane che potessero darmi informazioni utili".

L'INTERROGATORIO - Inizialmente gli hanno fatto le classiche domande: "Perché sei qui? Vuoi andare in Siria? Chi conosci? Hai contatti in Siria?", e Del Grande ha risposto. Poi si è passati a domande strettamente legate ai contenuti e all'oggetto del suo lavoro: "A quelle non ho risposto perché non avevo un avvocato".

LE "NON" ACCUSE - Ancora oggi lui e i suoi legali non sanno di cosa sia stato accusato: "Non sono neanche stato espulso, non c'è un provvedimento di espulsione. Nessuna parte terza ha convalidato il mio stato di fermo: non ci sono accuse formalizzate e non possiamo accedere agli atti, siamo in un ambito fumoso e impalpabile. Ancora non ho capito perché mi hanno fermato".

Nei centri di detenzione in cui è stato, Del Grande ha anche notato come ci siano molte persone che, come lui, sono in perfetta regola con i documenti e sono detenute senza valide ragioni.

GIORNALISTI LIBERI - Poi l'appello: "Io sono stato il numero 175, faccio un appello alla Turchia perché liberi tutti i giornalisti. È inaccettabile che veniamo incriminati e privati della libertà per il nostro lavoro".

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