La Corte di Cassazione ha confermato l'ergastolo nei confronti di Sabrina Misseri e la madre Cosima Serrano, accusate di aver ucciso Sarah Scazzi, 15enne di Avetrana (Taranto), nell'agosto 2010.

La sentenza della Prima sezione penale conferma in questo modo quelle di primo e secondo grado.

Per Michele Misseri, che si è autoaccusato del delitto, confermati otto anni di reclusione (per soppressione di cadavere e inquinamento delle prove), cinque anni e undici mesi per suo fratello Carmine (soppressione di cadavere), un anno e 4 mesi per Vito Russo junior, e un anno e 4 mesi per Giuseppe Nigro (entrambi condannati per favoreggiamento).

Per Michele e Carmine Misseri si aprono così le porte del carcere.

Michele Misseri
Michele Misseri
Michele Misseri

LE REAZIONI - "Io sono sereno per me, ma non per le altre cose: due persone innocenti sono in carcere", è la dichiarazione a caldo di Michele Misseri, che poi ha chiesto scusa a moglie e figlia condannate all'ergastolo. "Vi chiedo perdono per gli errori che ho fatto, è un errore giudiziario. Ma secondo me la vicenda non è finita", ha detto. Soddisfatto invece Claudio Scazzi, fratello di Sarah: ''Secondo me è una sentenza giusta, netta ed equilibrata, fatta sulla base di prove certe e di un lavoro che non è durato un mese o un anno ma tanti anni, da parte di persone fortemente motivate che hanno fatto una cosa eccezionale". Insieme a lui a Roma, ad attendere il pronunciamento, c'era anche il padre Giacomo.

IL DELITTO - La 15enne Sarah Scazzi scompare improvvisamente il 26 agosto 2010: esce di casa intorno alle 14.30, deve raggiungere l'abitazione della cugina Sabrina per poi andare insieme a un'amica al mare.

In quel breve tragitto, poche centinaia di metri, svanisce: non risponde più al cellulare e nessuno la vede.

La famiglia sostiene la tesi di un rapimento, ma per gli inquirenti è altamente improbabile, date le modeste condizioni economiche; quindi si propende per una fuga o un sequestro a scopo sessuale da parte di qualcuno conosciuto su Facebook.

LE INDAGINI - Dopo oltre un mese viene ritrovato il cellulare della ragazzina: è in un campo, semibruciato. Autore della scoperta è zio Michele, padre di Sabrina, lo stesso che dopo nove ore di interrogatorio, il 6 ottobre, racconta di aver ucciso Sarah e di averne nascosto il corpo in un pozzo.

Inizia poi una serie di ammissioni e ritrattazioni, fino a quando tira in ballo la figlia Sabrina e racconta che le due avevano litigato e Sarah era stata strangolata.

La giovane finisce quindi in carcere, "inchiodata" anche dai ricordi dell'amica con cui dovevano andare al mare, Mariangela Spagnoletti, che l'aveva vista "agitata" quando aspettavano Sarah e, non vedendola arrivare, aveva parlato subito di un rapimento.

IL MOVENTE - Per gli investigatori, Sabrina avrebbe ucciso per gelosia nei confronti della cugina rispetto alle attenzioni di un ragazzo, Ivano Russo, di cui si era innamorata; la 15enne, saputo che i due avevano avuto un rapporto sessuale, anche se non portato a termine, come dichiarato da lui stesso, e lo aveva raccontato ad altre persone, scatenando i pettegolezzi del paese.

Il movente del delitto andrebbe quindi inserito proprio nella lite avvenute tra le due ragazze la sera del 25 agosto, a seguito della rottura del rapporto decisa da Ivano con Sabrina.

GLI ARRESTI - Il 26 maggio 2011 viene arrestata Cosima Serrano, madre di Sabrina, con l'accusa di concorso in omicidio e sequestro di persona. Dall'analisi dei tabulati risulta, infatti, che il suo telefono cellulare avrebbe effettuato una chiamata dal garage di casa, contrariamente a quanto aveva sempre dichiarato.

Ma dopo le parole di Misseri e l'ammissione del coinvolgimento della figlia, si arriva all'ipotesi, poi confermata dalle sentenze di primo e secondo grado davanti alla Corte d'assise di Taranto, dell'omicidio compiuto da Sabrina e dalla madre Cosima dopo litigi legati a un ragazzo forse conteso tra le due giovani.

Secondo la procura Michele Misseri sarebbe intervenuto successivamente, insieme a suo fratello Carmine, per aiutare le due donne a liberarsi del cadavere della vittima.
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