Cade la prima testa dell'amministrazione Trump. Il consigliere per la Sicurezza nazionale Michael Flynn è stato costretto a dimettersi per aver mentito su rapporti intrattenuti con funzionari russi, con i quali avrebbe discusso della revoca delle sanzioni, prima dell'insediamento del nuovo presidente americano.

"Sfortunatamente, a causa del ritmo degli eventi, ho inavvertitamente fornito al vice presidente e ad altri informazioni incomplete riguardanti le mie telefonate con l'ambasciatore russo a Washington", si legge nella lettera di dimissioni di Flynn, resa pubblica dalla Casa Bianca. "Rimetto il mio incarico, onorato di aver servito la nostra nazione e il popolo americano in modo così illustre".

Il posto dell'ex generale 58enne è stato assunto ad interim da un altro generale, Keith Kellog, 72 anni, attualmente capo dello staff del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca. Ma per la successione Donald Trump sta pensando a David Petraeus, ex direttore della Cia ed ex comandante delle forze americane in Iraq ed in Afghanistan, il cui nome per quell'incarico era già circolato nelle settimane scorse.

Secondo quanto ricostruito nei giorni scorsi dal "Washington Post", Flynn avrebbe parlato di una possibile revoca delle sanzioni contro Mosca con l'ambasciatore russo a Washington, Sergey Kislyak, il 29 dicembre scorso, lo stesso giorno in cui il presidente uscente Barack Obama annunciò nuove misure restrittive per le interferenze russe nel voto di novembre.

In base al Logan Act, una legge federale risalente al 1799, è illegale per un privato cittadino - e tale era allora Flynn - negoziare con funzionari di governi stranieri che abbiano contenziosi aperti con gli Stati Uniti.

Non solo: la "colpa" dell'ex consigliere per la Sicurezza nazionale è quella di aver negato di aver parlato del tema, smentito successivamente da una fonte dell'amministrazione, secondo cui Flynn "non sarebbe completamente sicuro" di non averne discusso.

Senza contare che sulla vicenda si era esposto anche il vice presidente Pence, che il mese scorso, in un'intervista, aveva sostenuto che Flynn e Kislyak "non avevano parlato di nulla che avesse a che fare con la decisione degli Stati Uniti di espellere diplomatici o imporre censure contro la Russia".
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