Il 30 settembre del 2013, due giorni il suo ottantesimo compleanno, Mariano Delogu rilasciò un'intervista all'Unione Sarda.

Fece un piccolo bilancio della sua vita piena e appagante.

Ecco che cosa disse.

Definisce il ventennio berlusconiano «positivo» ma ammette di essere «molto fortunato» per non essere in parlamento in questi giorni «imbarazzanti e difficili» di sentenze, decadenze, dimissioni di massa e disfacimento del rapporto (governativo) contro natura tra berlusconiani e antiberlusconiani.

«Perché se da un lato è vero che il Pdl butta in politica una vicenda giudiziaria è altrettanto vero che il Pd gioca ancora a lucrare sulle vicende giudiziarie dell'avversario per batterlo. Del resto che cosa ha fatto la sinistra nei brevi periodi in cui ha gestito il Paese tra un governo di centrodestra e l'altro?».

Dopo quasi vent'anni di politica attiva, Mariano Delogu è tornato a fare solo la sua professione di avvocato, che non ha mai lasciato in 57 anni. Ma continua ad interessarsene nonostante non abbia più alcuna carica. Oggi compie ottant'anni e li festeggerà con la moglie Lia Nugnes, compagna di vita e di studio, con i figli Francesco, Massimo e Roberto, i nipoti Davide, Camilla, Carolina, Matteo e Nicola e il pronipote Christian. E con gli amici di sempre.

Uomo integerrimo e di indubbio successo, può tracciare un bilancio positivo della sua vita, che ha abbracciato il giornalismo, la giustizia, la politica attiva e lo sport. Sempre ad alti livelli.

Nel suo studio di piazza Repubblica con vista sul Palazzo di giustizia c'è la summa della sua esistenza: una grande parete è tappezzata di icone, sua passione da sempre, in un'altra spiccano le vignette di Franco Putzolu che lo ritraggono sindaco, presidente del Cagliari, avvocato. Ci sono gagliardetti, antiche cartine della Sardegna, una copia della Costituzione affissa a una libreria e i volumi giuridici consultati mille volte. Ci sono anche le copie del libro che ha scritto nel 2010, “Vita da senatori. Storie, aneddoti e miti”. Racconta con leggerezza gli anni a Palazzo Madama, dove arrivò nel 2001 dopo aver lasciato il Municipio di Cagliari.

«Quando per tutta la vita ci si è impegnati nel tentativo di conseguire risultati concreti e tangibili, trovarsi su uno scranno del Senato desta sconcerto», scrive nel testo e ricorda oggi a chi gli chiede un bilancio di quell'esperienza. «Perché il senatore è quasi sempre confinato nel ruolo acritico di schiacciatore di pulsanti, di esecutore di ordini di scuderia», ammette. Le dimissioni per ragioni di dignità personale sarebbero dovute essere la logica conseguenza. «In realtà è un mondo affascinante e pieno di persone di altissimo livello e questa è stata una buona ragione per restarci». Oltre, non può negarlo, «all'ottimo stipendio».

Nella sua ricca carriera di penalista ha avuto ruoli di primo piano, quasi sempre come parte civile, nei processi per i sequestri di persona. Fu l'avvocato della famiglia Kassam e fu il primo ad essere informato quando i rapitori inviarono un orecchio del piccolo Farouk; nel caso Manuella, una delle vicende giudiziarie più buie della storia giudiziaria sarda, «difendevo un imputato che era accusato di fare il corriere della droga da Cagliari a Milano. Nonostante avessimo dimostrato che non era mai stato a Milano in vita sua, venne arrestato e condannato in primo grado e assolto in appello».

Da sempre appassionato di calcio, degli anni della presidenza del Cagliari (tra il 1976 e il 1981) ha ricordi chiari. «Ai tempi dello scudetto ero dirigente e vissi quegli anni con passione. Poi retrocedemmo e cercarono un pazzo che gestisse la squadra. Accettai. Tornammo in serie A dopo tre anni. E fu dura perché uno degli spareggi lo perdemmo a tavolino per colpa di un tifoso esagitato aveva colpito con un sasso un calciatore avversario. Poi ne vincemmo un altro e salimmo nella massima serie. Allora il calcio era un'altra cosa e i procuratori erano lontani dall'arrivare. Pensi», racconta, «che i contratti con i calciatori li stipulavo io e tenevo anche l'unica copia. Loro si fidavano, e facevano bene. Una volta un giocatore era convinto di aver ritirato tutti i soldi e fui io a dirgli che doveva averne ancora. Non ci credeva, mi ringraziò».

Sul caso Is Arenas preferirebbe avvalersi della facoltà di non rispondere (difende Stefano Lilliu, assessore del Comune di Quartu) ma una cosa la dice: «Mi hanno sorpreso gli arresti. Avrei capito se si fosse trattato di una vicenda in cui gli indagati puntavano a ottenere vantaggi personali, ma si trattava di un'opera destinata ai tifosi, alla collettività, non un palazzo con appartamenti da vendere a privati. Questa vicenda mi ricorda un processo per abusi edilizi di molti anni fa. Il mio cliente fu condannato in primo grado e assolto in appello. Il procuratore generale si appellò e la Cassazione annullò l'assoluzione rinviando il processo alla Corte d'appello di Roma. Ricordo che nel corso della sua requisitoria il nuovo procuratore generale disse più o meno così: “In questa materia ci sono leggi nazionali, regionali, regolamenti comunali e mille altre norme. Vi confesso di non averci capito nulla, figuriamoci che cosa ha capito l'imputato”. Ecco, quella di Is Arenas è una vicenda simile».

L'esperienza di sindaco (dal 1994 al 2001) la definisce «quanto di più affascinante possa capitare nella vita perché si ha l'occasione di fare qualcosa per la propria città». E perché, contrariamente a quella di senatore, è ricca di concretezza. «Oggi passo sull'asse mediano e penso che l'ho concluso io, passo davanti al porto e sono orgoglioso di aver buttato giù quell'orribile muro che lo separava dalla città». C'è anche qualcosa che gli sarebbe piaciuto fare e non ha fatto: «Trasformare via Roma in una grande piazza portando le auto sottoterra, ma non è stato possibile». Sul giovane Massimo Zedda tenderebbe a dare un giudizio negativo («vedo solo piste ciclabili») ma riconosce che «bisogna trovarcisi dentro per giudicare perché da fuori sono tutti bravi a criticare. Io, dice, sono stato fortunato perché sono stato il primo sindaco della città ad essere eletto direttamente ed avevo a disposizione un sacco di soldi, compresi quelli che non erano stati spesi in precedenza a causa delle continue crisi. Ora è difficile. Se tornassi a fare il sindaco? Vorrei risolvere i problemi di lavoro dei giovani». In questo tra lui e Zedda non c'è alcuna differenza.

Fabio Manca
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