"È stata un'operazione nell'interesse della Sept e di grande prestigio. Allora gli imputati cosa avrebbero dissipato?"

Si riferisce all'operato di Ugo Cappellaci e Dionigi Scano l'avvocato Guido Manca Bitti nella sua discussione al processo per il crac milionario della Sept Italia, in cui l'ex presidente della Regione e l'avvocato Scano sono accusati di bancarotta documentale e per dissipazione in qualità di ex consiglieri della società di vernici industriali del sindaco di Carloforte Marco Simeone (principale imputato per il quale il pm ha sollecitato una condanna a 8 anni).

La contestazione per Cappellacci e Scano ruota attorno all'acquisizione della società "Simeone srl" da parte della Sept nel 2001.

Un'operazione ritenuta in perdita dall'accusa, e che, ciononostante aveva ottenuto il via libera dei due consiglieri.

Per Scano e Cappellacci il pm Giangiacomo Pilia ha chiesto una condanna a tre anni e mezzo.

"Non c'era alcun dubbio sulla solvibilità dei debitori".

Perlomeno "fino a quando sono rimasto in carica io".

Così Ugo Cappellacci davanti ai giudici aveva preso le distanze dalle accuse di bancarotta documentale spiegando di aver appreso solo in seguito che, dopo l'acquisizione della Simeone srl" il credito della Sept "non era stato recuperato".

Ma "certamente", aveva sottolineato, che sino alla fine del suo mandato, "i debitori apparivano come solvibili, tanto è vero" aveva aggiunto, che non c'era stata "eccezione", da parte dei "sindaci o di chicchessia".

Dura la replica della difesa oggi in aula: "Ma veramente si vuole parlare di impossibilità per il curatore fallimentare di accedere al materiale documentale?".

Il legale ha ricordato che "stiamo parlando di un curatore che non ha voluto vedere quelle carte, non ha mai chiesto la password per accedere al server che le contenevano, non si è voluto fare il lavoro che si doveva fare, un lavoro che noi avevamo diritto di vedere". Pertanto, per l'avvocato Manca Bitti, "il processo non può concludersi che con un'assoluzione".
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