«Prendiamo una decisione, la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po' per vedere che succede. Se non provoca proteste né rivolte, perché la maggior parte della gente non capisce cosa è stato deciso, andiamo avanti fino al punto di non ritorno» Dal Metodo Juncker, presidente della Commissione europea.

In pratica è quanto sta avvenendo in Italia col servizio sanitario nazionale. (E non solo). Prima, con il decreto Lorenzin vengono aboliti 208 esami e visite mediche ora a pagamento e a discrezione del medico di famiglia. Pena provvedimento disciplinare per il medesimo. Esami di routine, tac, questioni legate anche alla prevenzione con cui ci hanno terrorizzati per decenni (salvo decidere ora che magari possiamo farne a meno).

Ora rischia di passare in sordina, come quasi ogni azione governativa, la soppressione della Guardia Medica, ulteriore iniziativa del Ministro della salute Lorenzin, che porterebbe da 24 ore a 16 la copertura sanitaria quotidiana diurna e il resto verrebbe gestito dal 118 o dal Pronto soccorso. Motivo per cui l'11 maggio i medici sono scesi in piazza a Roma per ribadire un no convinto. Scelta non legittimata dai costi (dieci euro l'anno a contribuente è il costo del servizio di guardia medica), che manderebbe a casa 7mila medici e i servizi che da essi dipendono; una prestazione essenziale soprattutto per le persone più anziane e sole, specie nelle zone rurali, nei paesi di montagna, nelle isole e dove non ci sono ospedali nelle vicinanze.

Eliminare la guardia medica significherebbe caricare il 118 di qualsiasi problematica ingolfando le prestazioni concepite per le urgenze e non per il codice bianco. Di notte non ci sarebbe alternativa. Il 118 si troverebbe a gestire dalla laringite all'incidente stradale senza ordine di sorta.

E di giorno? Di giorno si stanno strutturando le case della Salute con gruppi di medici di famiglia di dieci unità, operativi per 16 ore. Si rischia di sfilacciare il fondamentale rapporto di fiducia tra medico e paziente, senza considerare che 16 ore di cure primarie verrebbero "esternalizzate" e affidate a cooperative, quindi a imprese con regimi fiscali agevolati che potranno pure erogare assistenza medica sul territorio.

Servizi che continuerebbero a essere pagati (in più) dai cittadini. Sarebbe intuitivo pensare di rafforzare quanto è già presente piuttosto che smantellarlo, ed è evidente che non ha senso procedere alla demolizione delle strutture che garantiscono, a livello territoriale, la continuità dei servizi di assistenza e di emergenza/ urgenza. I cittadini rischierebbero di essere lasciati a sé stessi. Malati e soggetti deboli sarebbero abbandonati e, di fatto, privati dei diritti e servizi finora garantiti dalla sanità pubblica. Anche perché in questo modo si ribalta il concetto di politica sanitaria portato avanti negli ultimi anni, ovvero di potenziamento dell'assistenza sul territorio rispetto all'ospedale. Una prospettiva che non spiega le proprie ragioni, lascia intendere una modernizzazione ma senza una reale informativa ai cittadini.

Un dato su tutti però dovrebbe indicare l'emergenza: per la prima volta cala l'aspettativa di vita degli italiani ed è in aumento la mortalità. Viviamo meno, in controtendenza rispetto agli anni scorsi e agli altri Paesi (dati del rapporto Osservasalute, curato dall'osservatorio sulla Salute delle Regioni del 2015). È il segnale di come il sottofinanziamento del Ssn porti inevitabilmente un peggioramento delle condizioni di vita. Tagliare prima di aver potenziato i servizi è macelleria sociale: cosa accadrà nel servizio sanitario nazionale è ormai l'avamposto di una disfatta.

Patrizia Cadau
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