Nell'illuminata Inghilterra il 26 aprile 2016, il parlamento britannico boccia l'emendamento al disegno di legge sull'immigrazione, presentato al governo britannico dalla camera dei Lord, che avrebbe permesso a tremila bambini siriani orfani e abbandonati al campo profughi di Calais (in Francia) di essere accolti nel paese. La proposta di accoglienza era stata presentata da Lord Alf Dubs, un laburista che da bambino aveva beneficiato di un programma sostenuto dall'allora governo britannico, per accogliere i bambini rifugiati prima della seconda guerra mondiale e che ricorda come la Gran Bretagna accolse oltre diecimila piccoli profughi dalla Germania, dall'Austria e dalla Cecoslovacchia, ed aggiunge che sia vergognoso che ora non lo faccia.

È la camera dei Lord che ha voluto e votato l'emendamento per l'accoglienza dei bambini siriani. I Lord non sono eletti, stanno lì per privilegio, per nomina reale e diritto ereditario, mentre nella camera dei Comuni si viene eletti, ed è la camera dei Comuni ad avere stroncato l'accoglienza dei piccoli profughi.

Questo la dice lunga su quanto la democrazia rappresentativa debba scendere a patti con il suffragio universale, gli umori della pancia di un paese che deve adeguarsi all'elettorato, alle sue propensioni e alle frange più estreme. Una debàcle che racconta la deriva populista di un intero continente, quello europeo e via via gli Stati membri, incapaci anche di fronteggiare l'accoglienza di tremila bambini (che non sono un'invasione barbarica).

I Lord volevano quindi difendere il privilegio e in nome della tradizione, farsi carico di una percentuale minuscola di bambini siriani orfani. Gli altri, quelli eletti nella camera dei Comuni, hanno preferito di no. Hanno pensato fosse meglio strizzare l'occhio all'elettore, non impicciarsi troppo e lasciare i bambini a marcire nel campo francese. Questo dovrebbe portare anche a riflettere sulla reale utilità del suffragio universale e sulla sudditanza mediatica e sgrammaticata della politica nei confronti dello spauracchio xenofobo.

È un muro che viene tirato su, insieme ai tanti che fisicamente e concettualmente stanno ritornando nei dialoghi politici e sociali come se ci si fosse dimenticati che appena cento anni sono passati dai prodromi dell'orrore nazifascista e dai vari muri culturali, sociali, fisici di cui il novecento è stato testimone. Un muro come quello di cui parla l'Austria nel Brennero, il muro di cui sentiamo l'eco nei nostri dialoghi quotidiani fatti di orrori linguistici («Ruspa», «A casa loro») e derive semantiche.

È la sintesi dell'avere perso completamente non solo le nostre radici cristiane, ma quelle umane. Abbiamo perso la pìetas , e guai a dirlo altrimenti si viene tacciati di buonismo. Nonostante il monito di Obama, «il mondo non ha bisogno di muri» (si ricordasse comunque di averne uno pure lui sul confine messicano), in Europa i muri continuano a moltiplicarsi, come al confine ungaro-serbo. E in Macedonia nell'area confinante con la Grecia c'è un pre-muro. Nel frattempo migliaia di bambini aspettano di non risolvere la propria infanzia lì, in un piccolo lager.

Patrizia Cadau
© Riproduzione riservata