Il mondo della cooperazione in Sardegna non ci sta e, sulla riforma delle banche di credito cooperativo approvata lo scorso 14 febbraio, passa al contrattacco.

"È un'aggressione al cuore della cooperazione", spiegano Confcooperative Sardegna, Legacoop Sardegna e Agci Sardegna che questa mattina a Cagliari hanno incontrato quattro dei 17 parlamentari sardi (i senatori Emilio Floris, Fi, e Ignazio Angioni, Pd, e i deputati Paola Pinna e Siro Marrocu, Pd).

Obiettivo: modificare il decreto legge, cambiando la clausola "way out" che permette alle banche cooperative che hanno un patrimonio netto di oltre 200 milioni (nessuna in Sardegna) di trasformarsi in Spa con la possibilità di trattenere le "riserve indivisibili" pagando all'erario solo il 20% di tasse.

La riforma prevede che entro 18 mesi le Bcc dovranno passare sotto l'ombrello di una holding con capitalizzazione superiore al miliardo, che dovrà quotarsi in Borsa conservando la maggioranza in mano alle cooperative.

Questo consentirà di rafforzare il patrimonio, mantenendo però l'autonomia delle singole Bcc, le vecchie casse rurali che per Statuto hanno fini mutualistici e sono legate a specifici vincoli territoriali.

Le banche che non vogliono sottomettersi alla holding possono utilizzare la clausola way out e diventare società per azioni a patto di avere un patrimonio superiore ai 200 milioni.

Alle associazioni cooperative non va giù soprattutto questa clausola, "perché smonta il principio dell'indivisibilità delle riserve", dice Carlo Tedde, presidente regionale di Confcooperative.

"Quei soldi sono dei soci, servono agli scopi mutualistici e territoriali e sono stati pagati nei fatti da tutti i contribuenti". Secondo Paolo Grignaschi, direttore di Federlus, la Federcasse di Lazio, Umbria e Sardegna, questo impianto "snatura le banche cooperative. Inoltre, l'imposta al 20% non è un'aliquota congrua, ma sembra un regalo fatto ai soci", dal momento che a pagare non sarebbero i soci ma le banche.

Su un totale di oltre 360 banche cooperative, in Italia sono solo 14 quelle che hanno i 200 milioni di patrimonio netto, nessuna di queste però è al Sud ma si trovano soprattutto in Toscana, Emilia Romagna e Lombardia.

Il pericolo in Sardegna, denunciano Confcooperative, Legacoop e Agci, è doppio: le due piccole banche cooperative, infatti, quella di Cagliari e quella di Arborea, rischierebbero di trovarsi in una grande capogruppo-holding, così come impone la riforma, ma depotenziata dall'uscita delle banche più grosse che si trasformeranno in Spa, e quindi in grossa difficoltà sul mercato bancario italiano.
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