Oggi si può essere poveri pur con la casa e il lavoro. “È il paradosso del progresso. La constatazione, non nuova, che le condizioni di vita e i beni materiali non danno la felicità. Portano invece l’infelicità quando li si perde”. Beppe Severgnini lo scrive per gli Italiani di domani, ma forse è più adatto ai genitori di oggi che hanno perso la stabilità economica che gli garantiva un tenore di vita adeguato alle loro aspettative e adesso, che è venuta meno, non hanno più la forza di trasmettere fiducia ai propri figli.

Questi genitori rientrano nella categoria dei “nuovi poveri”. Facevano parte di uno strato sociale intermedio tra i benestanti e i poveri, conducevano una stabile vita sociale e professionale mentre ora sono costretti a scontrarsi con precarietà e disoccupazione. A rendere vulnerabili le persone che fino a qualche tempo fa appartenevano alla classe media e che ora subiscono un processo di mobilità sociale discendente si aggiungono - alla perdita di lavoro o l’instabilità lavorativa - anche altre cause come la dissoluzione del legame familiare o il peggioramento delle condizioni di salute. Tutti effetti diretti o indiretti della crisi economica e di valori che stiamo vivendo.

Padri separati costretti ad allontanarsi dal nucleo familiare e imprenditori che chiudono l’attività fanno i conti con una minore disponibilità economica che a volte (sempre più di frequente) li trasforma in utenti dei servizi sociali o delle associazioni di volontariato o della Caritas. Anche quando il loro reddito non li conduce in uno stato di “povertà assoluta” (che li rende incapaci di procurarsi i beni e servizi ritenuti essenziali al soddisfacimento dei bisogni primari) e neppure di “povertà relativa” (disponendo di meno risorse rispetto agli altri in mezzo ai quali vivono) si ritrovano in uno stato di “povertà soggettiva”. Si sentono poveri, o impoveriti, perché sono esclusi da attività sociali e personali che danno il senso di appartenenza a una comunità.

Col termine “nuove povertà” si fa quindi riferimento a una povertà non più intesa come condizione economica oggettivamente misurabile, ma come senso di insicurezza, di instabilità. Una zona grigia in espansione in cui povertà è anche fragilità di relazioni, precarietà lavorativa, insicurezza sociale, malattia, inadeguatezza a un sistema dominato da competitività e produttività.

Per le motivazioni indicate è sempre più facile ritrovarsi poveri. Agli ex imprenditori o artigiani o commercianti, che rappresentavano il ceto medio ormai impoverito, si aggiungono gli anziani soli, i Neet, le giovani coppie o i genitori single o separati, i disoccupati e i lavoratori precari, le persone affette da disabilità fisiche o psichiche, da ludopatie o altre forme di dipendenza.

Anche se non ricompresi in nessuna di queste categorie, i bambini sono le prime vittime dell’impoverimento e subiscono più degli altri la mancanza di un adeguato sistema di welfare. A gennaio 2013 i bambini sardi di meno di 6 anni “indigenti alimentari” (appartenenti cioè a famiglie che hanno chiesto e ottenuto aiuti alimentari) erano 7.629, il 9,8% del totale dei bambini residenti della stessa classe d'età (Fonte Agenzia per le erogazioni in agricoltura).

Le statistiche ufficiali forniscono anche il numero dei poveri assoluti e relativi (20,7% delle famiglie sarde nel 2012), risulta invece più complicato assegnare un valore ai poveri nella nuova accezione del termine, perché la loro vulnerabilità non è solo di tipo economico, richiede pertanto delle analisi qualitative per evidenziarne l’entità.

Questo significa che per contrastare le nuove povertà, non sono sufficienti gli strumenti adottati per la povertà tradizionale (come gli interventi di redistribuzione del reddito), perché funzionano fintanto che i poveri sono pochi. Quando diventano tanti e sono generati dall’interno del sistema, bisogna invece agire dal lato della produzione, cioè trovare nuove occasioni di lavoro e nuove forme d’impresa (es. imprese sociali). Se però ai bisogni materiali (quindi alle risorse) si aggiungono anche bisogni relazionali e sociali si dovrebbe intervenire anche con adeguate strategie di prevenzione e di contrasto alle origini del disagio.

Lucia Schirru

Giorgio Garau

centrostudi@unionesarda.it

* Si ringraziano i Lions che hanno scelto "le nuove povertà" come tema di studio nazionale per il 2014 e hanno ispirato questi articoli
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