Pubblichiamo oggi la lettera di una madre cagliaritana, e relativa ad un riconoscimento di paternità. Una vicenda che fa riflettere sul funzionamento della giustizia in Italia, e sulla delicatezza dei casi che i magistrati sono chiamati ad affrontare.

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"Gentile redazione,

sono una mamma cagliaritana di 55 anni , che 20 anni fa ha deciso di portare avanti una gravidanza di un figlio del quale il padre si voleva sbarazzare.

Allora avevo la mia famiglia di origine alle spalle a supportarmi in questa scelta, che mi ha anche aiutato a mettere le basi per rendermi autonoma, dandomi modo di aprire una mia attività con la quale rendermi indipendente e crescere mio figlio.

Per molti anni è andato tutto bene, ma poi è arrivato l'inizio della crisi, le tasse crescevano e il lavoro che diminuiva… mi hanno costretto a prendere la sofferta decisione di cessare l’attività.

Ho continuato a tirare avanti con lavoretti saltuari e sussidi comunali, per i quali ho fatto le domande che mi erano concesse.

Intanto mio figlio veniva tenuto al riparo da ciò che era la realtà delle sue origini.

Il padre biologico aveva voluto vedere suo figlio soltanto a 3 mesi di vita per poi sparire nel nulla, nonostante sapesse di avere un figlio.

Ai 18 anni compiuti dal mio ragazzo, ho voluto raccontargli tutto. Ed è stato lui a decidere, vista la nostra situazione di disperata indigenza, di fare richiesta di riconoscimento di paternità al padre biologico perché si prendesse le sue giuste responsabilità economiche del caso, visto che lui stava e sta studiando alle superiori e non si riesce, in casa, a mettere insieme il pranzo con la cena.

Questa persona ha purtroppo negato le sue responsabilità, ma il test del dna richiesto a un giudice ha decretato che è positivo al massimo della percentuale.

La richiesta di riconoscimento è stata fatta all'inizio del 2016, e soltanto nel 2018 siamo riusciti a far depositare la prova tangibile che quella persona è suo padre biologico agli atti del giudice.

Si era sicuri, a quel punto, che sarebbe arrivata nella stessa udienza una sentenza almeno provvisionale, che avrebbe cioè determinato un assegno di mantenimento provvisorio per iniziare a sanare i disagi base in cui il ragazzo si trova , per poter affrontare una vita un po’ più dignitosa.

Ci siamo invece trovati davanti ad un decreto di "riserva" da parte del giudice, che senza motivazioni valide lo ha messo agli atti del processo, infrangendo così le aspettative di una boccata di ossigeno in cui mio figlio confidava da ormai 2 anni e mezzo.

Ad oggi niente è cambiato, la legge permette ai giudici dei tempi di riserva illimitati nonostante situazioni e richieste di emergenza come queste, nonostante la legge sia molto chiara sui diritti dei figli nei confronti di entrambi i genitori.

Il ragazzo avrebbe bisogno di visita oculistica e conseguenti occhiali, ha bisogno di testi scolastici che noi non ci possiamo permettere, ma il giudice si è riservato da ormai 5 mesi e dopo più di 2 anni di cause per poter ottenere il test del dna.

Scrivo per informare l’opinione pubblica sul fatto che la giustizia non funziona neanche per argomenti così chiari, ovvi ed elementari e questo ragazzo non ha, a quanto pare, neanche i diritti di base, che significano avere i mezzi per vestirsi , mangiare e studiare".

Una madre disperata - Cagliari

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