Pubblichiamo oggi l'amara riflessione di una lettrice cagliaritana, che ha trascorso la giornata di Sant'Efisio a Milano all'Istituto Europeo di Oncologia.

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"Gentile redazione,

mentre a Cagliari si festeggiava Sant'Efisio, il mio primo maggio l'ho trascorso all'IEO, Istituto Oncologico Europeo, meglio noto come "l'ospedale di Veronesi", a Milano.

Il cielo fuori è grigio, ma il verde degli arredi mi aiuta a sperare.

L'innominabile ha colpito una delle persone più importanti della mia vita, mia sorella. C'è una costante in questi giorni che mi ha scosso profondamente, oltre al mio dolore personale, che non può fare notizia: ho vagato per i reparti, sono stata al bar, in mensa, in cappella e ovunque ho sentito e riconosciuto quell'accento tanto familiare, il mio!

Qualche volta aveva la cadenza sassarese, altre medio campidanese, ma era lui e ‘richiamava’ casa.

Con qualcuno mi sono fermata e l'argomento di conversazione era sempre lo stesso. “...sono qui non perché in Sardegna non ci siano medici preparati, ma c'è una tale disorganizzazione e tempi d'attesa così lunghi, che ho preferito spostarmi".

Mi domando. Come è possibile questo in una Regione dove più della metà del proprio bilancio viene speso in sanità? Il tanto decantato orgoglio sardo perché non scatta quando si tratta di competere su un servizio così cruciale quale quello della salute?

Una signora mi ha detto: “Il mio medico giù si è arrabbiato quando gli ho detto che avrei chiesto una consulenza all'IEO, ma qui in 20 giorni mi hanno chiamato per l'intervento, giù il medico mi ha fatto aspettare una mattina intera prima di ricevermi e sembrava mi stesse facendo un favore".

C'è un'emigrazione quotidiana in atto che non finisce sulle prime pagine dei giornali, ma panni così sporchi devono essere lavati in piazza e spero molto presto non più in piazza Duomo!

V.C. – Cagliari

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