La riflessione di un lettore sulla tragica morte di Aldo Moro e di tutti quegli uomini, servitori dello Stato, "rei" di "andare controcorrente" e di "dedicarsi a costruire un ponte tra il consenso di oggi e quello di domani".

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"Un agguato agghiacciante: pochi minuti dopo le 9, un commando composto da dodici terroristi ha massacrato i cinque uomini di scorta e ha rapito Aldo Moro. È stata un'azione di tipo militare che non permetteva margini di errore, eseguita da professionisti, tiratori scelti".

Così recitava un quotidiano 40 anni fa, il giorno dopo di quel lontano 16 marzo 1978, quando a Roma, in via Fani, fu rapito il Presidente Aldo Moro e assassinata la sua scorta.

Il Paese era sotto choc e a Roma migliaia di lavoratori si riunirono su invito dei sindacati, per manifestare lo sdegno contro questo efferato delitto.

A poche ore dal rapimento si votò la fiducia al Governo monocolore di Giulio Andreotti, sostenuto da tutti i partiti compreso il PCI.

Arrigo Levi firmando un pezzo sulla Stampa definì le Brigate rosse, rosse solo per il sangue versato di innocenti.

Moro fu prigioniero per 55 giorni e "giustiziato" il 9 maggio del 1978.

In questa giornata è fondamentale ricordare per non dimenticare chi per servire lo Stato ha sacrificato la sua vita. Il rispetto della "morte naturale" è doveroso, ma lo deve essere anche di più il rispetto della "morte violenta" di uomini rei di andare controcorrente, rei di dedicarsi a costruire un ponte tra il consenso di oggi e quello di domani, rei di essere stati studiosi al servizio dello Stato.

Andrea Zirilli

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